Appena un paio di settimane prima dell’ultimo processo di fronte alla Corte di cassazione, che ormai da molti mesi era fissato per il 22 gennaio 1997, Adriano Sofri era a Roma per completare il montaggio del suo splendido filmato sulla Cecenia, che pochi giorni dopo sarebbe stato trasmesso dalla terza rete della Rai in due puntate a notte fonda (chi l’ha visto? verrebbe da chiedersi, parafrasando una nota trasmissione della stessa rete).
Come spesso in questi casi, ci demmo appuntamento in centro, per parlare di mille cose e anche, quasi stancamente, dell’imminente giudizio della Cassazione, che avrebbe potuto essere (e poi sarebbe stato, come si è visto) l’ultimo - almeno per ora. Passeggiando nei pressi del Senato, incontrammo un illustre e autorevole esponente della sinistra, da entrambi ben conosciuto. Incontro cordialissimo e amichevole. Tra una considerazione e l’altra sulle cose del mondo, gli scappa fuori: “A proposito, Adriano, a che punto è la tua vicenda giudiziaria? Io, ormai, ho perso il conto…”. Appunto, salvo rarissime eccezioni, avevano tutti “perso il conto”. Adriano ed io ci guardammo negli occhi con un attimo di smarrimento e, quasi per una spontanea intesa, cambiammo argomento senza difficoltà, riprendendo a parlare del più e del meno. Del resto, la svagata domanda venne lasciata cadere, come per un obbligo di circostanza ormai assolto.
Quell’episodio fotografa bene la situazione in cui si trovava l’opinione pubblica, anche la più avvertita, alla vigilia dell’ultimo giudizio in Cassazione. Avevano davvero tutti “perso il conto”. Quella mattina del 22 gennaio, mentre i giudici della quinta sezione della Cassazione si accingevano stancamente a quest’ultimo adempimento -si trattava, in fin dei conti, soltanto di rendere definitivi 22 anni di carcere, possibilmente in giornata, per non perdere altro tempo-, soltanto qualche migliaio di affezionati lettori de Il Foglio ebbero una piccola, ma non irrilevante scossa alla loro routine quotidiana. Quella mattina, unico fra tutti, il giornale di Giuliano Ferrara pubblicava uno straordinario inserto di quattro pagine fitte fitte, contenente un’ampia sintesi delle “note” puntigliosamente redatte da Adriano Sofri a commento dell’ultima sentenza di condanna, pronunciata nel 1995 dalla terza sezione della Corte d’appello di Milano presieduta dal giudice Della Torre.
Che stranezza, si saranno detti in molti, compreso molti esponenti di quel ceto politico di tutti i colori che è abituato ormai a trovare Il Foglio nella propria mazzetta di giornali. Del resto, si sa che Giuliano Ferrara e i suoi collaboratori sono tipi un po’ strani.
A tarda sera di quel mercoledì 22 gennaio, quando è giunta la notizia della sentenza definitiva di condanna a 22 anni di carcere, quella stranezza è apparsa meno strana. Molti si sono svegliati improvvisamente dal torpore, quell’esponente della sinistra si sarà dato da solo la risposta alla sua svogliata domanda di due settimane prima, molti quotidiani hanno “ribattuto” la prima pagina, alcuni si sono chiesti come mai non ci avevano pensato prima. Quell’inserto singolare de Il Foglio è tornato davvero utile, ma ormai era davvero troppo tardi.
Per quasi nove anni, Adriano Sofri -e con lui Giorgio Pietrostefani e Ovidio Bompressi- aveva cercato sistematicamente di far capire per tabulas che le accuse erano false, che Marino mentiva, che non solo mancavano i riscontri, ma che esistevano innumerevoli riscontri del carattere calunnioso dell’impianto accusatorio. Nel giugno 1996, da ultimo, Adriano Sofri aveva presentato esposti-denunce circostanziati nei confronti sia del giudice estensore delle motivazioni “suicide” della sentenza di assoluzione del 1993, sia del presidente dell’ultimo collegio giudicante, che aveva predeterminato la condanna prima ancora di iniziare il processo.
Di tutto ciò -che attualmente è all’esame della procura della repubblica di Brescia, a condanna definitiva già pronunciata- Adriano Sofri aveva informato in una affollatissima conferenza stampa nel luglio 1996 a Roma. Poche righe, al massimo, sui giornali (solo alcuni, del resto), nessuna eco televisiva. Tutto invano, salvo riscoprire a piene pagine tutto questo solo quando l’irreparabile -almeno per ora- era accaduto, dopo quel mercoledì 22 gennaio 1997. E del resto, passati i primi giorni di fortissimo impatto, c’è stato chi ha di nuovo avuto la spudoratezza di affermare che “bisogna attendere le motivazioni” della sentenza della ...[continua]

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