Raggiungere l’aeroporto di Malpensa è spesso un’impresa. Non per la distanza, del tutto ragionevole, quanto per la posizione, decisamente poco accessibile. Collocare uno scalo di tale importanza a nord di Milano senza una rete adeguata di collegamenti pubblici è stata una scelta a dir poco infelice. Con la tangenziale di mezzo non è facile calcolare i tempi di percorrenza. Si sa quando si entra ma non si sa quando si esce dall’anello stradale del capoluogo lombardo. Bisogna, infatti, tenere in debito conto i frequenti rallentamenti e gli inevitabili imbottigliamenti che dilatano e sballano la tabella di marcia rischiando di arrivare tardi alla liturgia del check-in che precede il fatidico appuntamento con il volo. Anche l’aeroporto di Sceremetevo non sembra all’altezza della situazione. Strutture rinnovate e padiglioni rifatti, ma pochi metri oltre il perimetro di recinzione si è risucchiati per chilometri e chilometri in un traffico insostenibile che non si attenua nemmeno a ridosso della Piazza Rossa. Il fatto, poi, che non esistano mezzi pubblici consente ai taxi di reclamare per le corse in uscita una tariffa doppia rispetto a quelle in provenienza dalla città dove la concorrenza è più serrata visto che si possono facilmente rimediare passaggi di fortuna con tassisti improvvisati.
Tutto è cambiato senza cambiare niente. Tomasi di Lampedusa troverebbe molti elementi di similitudine tra la Sicilia da lui raccontata nel Gattopardo ed una Russia nuova di pacca che nel giro di pochi mesi ha rivoluzionato il parlamento ed ha eletto un altro presidente senza scalfire minimamente il sistema di potere di chi ieri controllava le leve del comando ed oggi non le detiene solo formalmente. Per anni i paesi occidentali si sono arrovellati il cervello per capire chi avrebbe preso il posto di Putin. Gli analisti internazionali hanno sprecato fiumi di inchiostro per individuare il nuovo zar ed anche quando Putin ha nominato come suoi delfini alla carica di vice-primo ministro Medvedev ed Ivanov c’era ancora chi pensava che alla fine la costituzione sarebbe stata cambiata per permettere al presidente uscente di restare in sella. I fatti hanno smentito tutti. Putin esce trionfalmente di scena dalla porta, ma rientra, altrettanto trionfalmente, dal retro come primo ministro. Les jeux sont faits, ma chi vince, alla fine, è sempre lo stesso. Non si illudano, pertanto, europei e americani, di trovare una Russia più docile e malleabile. Mosca è ritornata agli antichi splendori, convinta di potere recitare quel ruolo di protagonista che le apparteneva ai tempi della guerra fredda, ruolo smarrito e tradito durante gli anni di Eltsin.
Ragioni di protocollo, situazioni logistiche e tempi ristretti obbligano le delegazioni parlamentari a programmi rigidi con orari da rispettare al minuto. A volte qualche deputato ritardatario rischia di far sforare le riunioni, ma in genere il calendario di lavoro, concordato meticolosamente fra i funzionari delle due parti, contempla anche i prevedibili piccoli inconvenienti dell’ultima ora. Non sempre gli incontri suscitano l’interesse previsto. Spesso è vero il contrario. Tante volte per vincere la noia mortale si consulta ossessivamente l’orologio, si sorseggia nervosamente il caffé o ci si perde con lo sguardo fra gli arredi e le decorazioni d’epoca in attesa della fine della conversazione che non ha aggiunto nulla a quanto già si sapeva. Per ovviare agli obblighi di circostanza e controbilanciare la prevedibilità degli interlocutori ho preso ormai l’abitudine, nei miei viaggi, di costruirmi un programma alternativo nei tempi morti della visita ufficiale.
Il tempo di registrarmi alla reception dell’hotel, salire in camera e depositare lo zainetto ed eccomi pronto per il primo appuntamento in un piccolo ristorante underground a due passi dalla Piazza del Maneggio. Rebecca Harms è un’euro-deputata tedesca esperta di questioni energetiche che mi accompagna all’incontro con due difensori dei diritti dell’uomo, Yuri Dzhibladze e Tanja Lokscina. L’ambiente è piuttosto rumoroso ma accogliente, il classico locale alternativo. Da due anni il governo russo ha adottato una nuova legge sull’associazionismo con l’obiettivo di mettere la museruola alla società civile.
La rivoluzione delle Rose in Georgia, quella arancione in Ucraina seguita da quella dei Tulipani in Kirghizistan, avvenute in successione fra la fine del 2003 ed i primi mesi del 2005, avevano messo sul chi vive il Cremlino convinto di trovarsi al centro di una cospirazione occidentale mirante ad abbattere i regimi dello spazio post-sovietico. Sul banco degli imputati erano state messe le organizzazioni non governative che, secondo Mosca, con finanziamenti americani ed europei avevano dato vita alle imponenti manifestazioni di piazza sfociate nel rovesciamento di governi considerati amici dalle autorità russe.
Oggi le associazioni indipendenti non godono più della libertà d’azione di cui godevano fino al 2006. “Nella Russia odierna è più facile aprire un’impresa od ottenere i permessi per iniziare una qualsiasi attività economica che fondare un’organizzazione non governativa” ci spiega Dzhibladze. “Siamo visti come agenti sobillatori al soldo dell’occidente”, continua costernato. La nuova legge prescrive regole di registrazione ed adempimenti burocratici estremamente complicati che mettono a repentaglio la libertà di associazione e scoraggiano i gruppi di cittadini ad organizzarsi. Con il pretesto di presunte violazioni del regime fiscale, delle norme di sicurezza, di quelle igieniche o di quelle anti-incendio, le autorità possono intervenire in qualsiasi momento rendendo impossibile la vita di un’organizzazione indipendente. Tante Ong hanno, così, preferito chiudere o hanno scelto di mantenere un profilo basso auto-censurandosi per non irritare il potere. “E’ fuori dubbio che lo spazio democratico in Russia va restringendosi” commenta Lokscina. Da qualche anno Bruxelles ha iniziato con Mosca una consultazione sui diritti umani. Esperti e funzionari delle due parti si incontrano periodicamente per discutere di come migliorare la situazione per libertà civili e democrazia. Alla vigilia di questi incontri l’Unione Europea riunisce i rappresentanti delle organizzazioni non governative sia russe che internazionali per fare il punto della situazione. Anche gli emissari del governo russo sono invitati, ma questi evitano di farsi vedere.
Mosca non accetta critiche, non tollera che siano i paesi occidentali a certificare la salute della democrazia russa. E contrattacca mettendo a nudo le contraddizioni europee con riguardo, in particolare, alle discriminazioni subite dalle minoranze russe nelle repubbliche baltiche dove migliaia di persone, residenti ormai da anni in Lettonia ed Estonia, non godono ancora di tutti i diritti di cittadinanza. “E’ una tattica sbagliata quella di isolare o di fare la voce grossa con Mosca”, conclude Tanja Lokscina, “ma l’Unione Europea deve mantenere un dialogo critico mettendo in gioco tutto il suo ascendente”. Yuri Dzhibladze ricorda come nei paesi occidentali sia, ormai, diventato un luogo comune ripetere che i Russi non sono fatti per la democrazia. “Non lasciateci soli” è il suo messaggio, “continuate a chiedere il rispetto degli accordi e delle convenzioni internazionali che la Russia ha sottoscritto”. Il borsch pasquale, la tipica zuppa russa a base di cavoli, rape rosse, carote e patate, scende lentamente nello stomaco mentre il fumo denso ed il brusio crescente soffocano la conversazione.
Delle città che ho frequentato in questi anni, ho ricordi nitidi e precisi legati a situazioni particolari, persone che ho incontrato ed ambienti di lavoro. Per quanto riguarda questi ultimi penso di essere diventato uno dei massimi specialisti di parlamenti intesi come edifici che li ospitano. Ne conosco, oramai, parecchi, dal più piccolo, in Ossezia del Sud, equivalente ad un nostro consiglio di circoscrizione, al più grande, l’Assemblea Nazionale del Popolo, a Pechino, che con una platea che supera i 2000 posti sotto a un enorme palco assomiglia più ad un teatro che ad un’aula di voto, ma lì, in fin dei conti, da decidere c’è ben poco visto che tutto è già stato deciso altrove. Del Parlamento Europeo conosco tutti gli anfratti e i passaggi più oscuri a tal punto che il personale di sicurezza mi considera uno dei loro o come un elemento dell’arredamento. La Duma, dimensioni a parte, è un edificio piuttosto anonimo, privo di un particolare interesse architettonico, in una delle principali arterie del trafficato centro moscovita. La delegazione russa ci aspetta. E’ il primo incontro ufficiale dopo le elezioni generali del dicembre scorso che hanno sancito la vittoria schiacciante di Russia Unita, il partito di Putin. Dopo i rituali convenevoli di apertura si passa ad affrontare i temi di attualità al centro delle relazioni fra Russia ed Europa. Da una parte gli eurodeputati sottolineano come un vero partenariato debba basarsi su interessi comuni e valori condivisi, dall’altra i membri della Duma a ribadire che gli standard russi non sempre coincidono con quelli europei con riguardo, soprattutto, a democrazia e diritti umani. E’ singolare e, per certi versi, paradossale sentire i russi invocare il rispetto del diritto internazionale dopo la decisione della maggioranza dei paesi dell’Unione di riconoscere l’indipendenza del Kosovo. “Come reagirebbero gli europei se fosse la Russia a riconoscere, nel Caucaso, l’indipendenza di Abchazia o Ossezia del Sud?”, domandano insistentemente. I ruoli si sono ribaltati; fino a ieri era sempre stata l’Europa ad incalzare Mosca a mettere in atto le risoluzioni delle Nazioni Unite, oggi avviene il contrario. “Vorremmo un sistema politico più aperto, una maggiore libertà di informazione ed una lotta più efficace contro la corruzione” rilanciano i deputati europei. “Non ci sembra che la corruzione sia un fenomeno solo russo” ribattono i membri della Duma. Nonostante le schermaglie, il clima è piuttosto cordiale e disteso come non sono per nulla tese le relazioni commerciali fra Mosca e Bruxelles che, anzi, registrano ogni anno incrementi ragguardevoli.
L’Accordo di Partenariato e Cooperazione che regolava i rapporti fra le due parti è scaduto alla fine del 1997 ed è imminente l’inizio dei negoziati per la definizione di un nuovo accordo quadro che dovrebbe portare ad un’ulteriore integrazione economica. La Russia ha bisogno dell’Europa, ma, di questi tempi, è più l’Europa ad avere bisogno della Russia. Senza il petrolio ed il gas russo, infatti, l’economia europea sarebbe in ginocchio. Siamo un gigante dai piedi d’argilla. Alziamo la voce e mostriamo i bicipiti, ma nei momenti cruciali non riusciamo a reggerci in piedi.
Mosca è il nostro più importante fornitore di idrocarburi: nel 2005 il 42% del gas naturale ed il 32% del petrolio importato dall’Unione Europea è arrivato dalla Russia. Si calcola, inoltre, che con la tendenza attuale la dipendenza europea nei confronti del potente vicino sia destinata ad aumentare fino all’84% del gas ed al 94% del petrolio entro il 2030.
Quando nell’inverno fra il 2005 ed il 2006, a causa di una lite commerciale con l’Ucraina, Mosca decise di ridurre il flusso di metano nei gasdotti che in quel paese transitano verso occidente in Europa si diffuse il panico. D’un tratto il blocco dei 27 stati si rese conto della propria vulnerabilità energetica. L’Europa non ha una politica energetica comune, ognuno fa da sé, a volte a discapito dell’altro. Diversificare le fonti, ridurre i consumi di combustibili fossili e moltiplicare rotte e fornitori è diventata una priorità assoluta. Risulta difficile criticare la Russia se da questa dipende la nostra sicurezza energetica.
Sarebbero disposti i cittadini europei a rinunciare all’automobile o a ridurre il riscaldamento per denunciare le violazioni dei diritti dell’uomo in Cecenia? Nonostante imbarazzati silenzi, frequenti amnesie e reiterate omissioni i leader europei considerano Putin un ottimo amico. Si tratta ovviamente di un’amicizia alquanto interessata. A Putin, poi, non piace affatto trattare con l’Unione Europea nel suo insieme, preferisce farlo bilateralmente con i singoli paesi. E questi, uno ad uno, presi dal bisogno, si allineano docili alla strategia del Cremlino. Gazprom, la compagnia russa che si è trasformata nel braccio economico di Putin, ha ormai firmato lucrosi contratti con tutte le grandi capitali del continente. Anche l’Italia si è adeguata siglando l’accordo per la costruzione del “Southstream”, un nuovo gasdotto che aumenterà le forniture di gas al nostro paese accentuando, però, la dipendenza da Mosca e mettendo, nel contempo, a rischio la costruzione di un altro gasdotto di importanza strategica, il Nabucco, che ha l’obiettivo di collegare l’Europa ai grandi giacimenti di metano delle repubbliche dell’Asia Centrale tagliando fuori proprio la Federazione Russa. Se il progetto Nabucco non andrà in porto sarà, così, il Cremlino a controllare quel gas convogliandolo nella propria rete di distribuzione. Chi avrà il coraggio, allora, di inimicarsi Putin, il padrone del rubinetto?
Si dice che i tassisti siano il modo più veloce per conoscere le abitudini del posto. Non parlando russo non posso catturare le loro opinioni sulla situazione attuale, ma in compenso, durante le corse, riesco a farmi una cultura dei gusti musicali prevalenti. Erano anni che non ascoltavo alla radio i Ricchi e i Poveri. Qui la canzone melodica italiana gode ancora di ottima salute. Celentano e Toto Cutugno competono con successo con la musica anglofone. Prima di ripartire mi resta il tempo di rimediare qualche souvenir di fortuna sulle bancarelle della Piazza Rossa.
Balzano agli occhi le nuove matrioske, le tradizionali bambole russe, con all’esterno il volto del nuovo presidente Dmitri Medevedev e, nei gusci interni, nell’ordine Putin, Eltsin, Gorbaciov e Breznev a simboleggiare il passaggio ideale di consegne. Come se il tempo si fosse fermato.
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Paolo Bergamaschi è consigliere per gli affari esteri al Parlamento Europeo. Veterinario di professione, collabora con riviste, siti web e quotidiani. Con Infinito edizioni ha pubblicato Passaporto di servizio (2010) e L’Europa oltre il muro (2013). Da ve...
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