Alex Boraine, sudafricano, ha studiato in Gran Bretagna e Stati Uniti. Nel 1996 è stato nominato dal Presidente Mandela Vice Chairperson della Commissione per la Verità e la Riconciliazione. Oggi dirige la sezione sudafricana dell’International center for Transitional Justice. Aryeh Neier, oggi presidente dell’Open Society Institute, è stato tra i fondatori e a lungo direttore esecutivo di Human Rights Watch. Collaboratore di The Nation e The New York Review of Books, ha pubblicato diversi libri, tra cui, in italiano, l’autobiografia Alla conquista della libertà (Codice, 2006). Irfanka Pasagic, originaria di Srebrenica, psichiatra, è la fondatrice del centro “Tuzlanska Amica”, che grazie a un progetto di “adozione a distanza”, in questi anni è riuscito a dare una famiglia a oltre 800 bambine e bambini.
Alex Boraine
Gli incontri di queste giornate sono dedicati alla magnanimità. Se vogliamo individuare un esempio di uomo magnanimo, beh, credo che Nelson Mandela sia stato tra i più grandi.
Quando uscì di prigione, dopo 27 anni di detenzione, molti sudafricani non sapevano cos’aspettarsi. Dopotutto quest’uomo, che si era tanto adoperato per la giustizia nel suo Paese era stato punito molto duramente, e non solo lui, anche le persone che lui rappresentava erano state imprigionate, il loro corpo, la loro mente, il loro spirito.
Insomma ci aspettavamo delle ostilità, un desiderio di vendetta. Invece, uscito di prigione, Mandela tese la sua mano a tutti i sudafricani, i neri e i bianchi, e li spinse ad andare avanti nell’impegno per un Paese unito. E’ chiaro che lui non ha perdonato tutti, piuttosto ha accettato tutti. Qui, cioè, non si parla di perdono ma di accettazione. E’ una cosa molto diversa, almeno per quanto mi riguarda. Il perdono, poi, che forse è una parola più ricca della magnanimità, non dovrebbe essere confuso con le corti di giustizia, i tribunali, il sistema di giustizia criminale. Il tribunale interpreta la legge e anche se il verdetto è di non colpevolezza, questo è definito in termini di evidenza, di prove. Il perdono non c’entra.
E’ vero che è impossibile condannare tutti i criminali, soprattutto chi ha commesso eccidi di massa, genocidi, stermini. Pensiamo al nazismo, alla ex Yugoslavia, al Rwanda, alla Cambogia. In questi casi è impossibile per i tribunali, per il sistema legale affrontare questa enormità di colpevoli, di accusati. Quindi è importante che ci siano opzioni complementari.
Ecco, in Sudafrica Nelson Mandela, grazie al suo esempio personale e al suo impegno, ha incoraggiato l’inizio della Commissione per la Verità e la Riconciliazione. Che, ripeto, non era intesa a sostituire i tribunali, era uno strumento complementare.
Come sappiamo, nella tradizione cristiana il perdono è centrale. E’ interessante che Hannah Arendt, pensatrice ebrea, abbia voluto descrivere Gesù di Nazareth, come colui che aveva scoperto il ruolo del perdono nel regno degli affari umani. Qualcosa quindi di molto diverso da un individuo all’altro. Lei parla proprio delle possibilità di perdonare nelle contingenze umane. Gesù disse “E’ stato detto dagli antichi dente per dente, occhio per occhio, ma io vi dico di perdonare settanta volte sette”. Tuttavia talvolta questo passo è stato mal interpretato. Non si tratta affatto di coprire tutto o di lavarsene le mani. Non c’è niente di facile o scontato nel perdono sincero.
Nella fede cristiana il perdono chiama in causa il pentimento, il dispiacere per aver fatto qualcosa di male, implica anche che si chieda scusa, perdono appunto. Si tratta di ammettere e riconoscere ciò che di male è stato fatto assumendosene le responsabilità.
Anche nel mondo politico spesso si chiede scusa. Voglio ricordare solo due esempi importanti. Se pensiamo a Willy Brandt e alle sue scuse al popolo della Polonia. Ora, Willy Brandt non era direttamente responsabile e purtuttavia si sentiva in qualche modo colpevole e voleva scusarsi a nome del proprio popolo per quanto accaduto. Il generale Ford si è anch’egli scusato con gli americani giapponesi, i nippo-ameri ...[continua]
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