Gli attori si presentano e indicano brevemente il loro contributo alla Storia. Thomas Jefferson ha scritto la Costituzione. Martin Luther King ha avuto un sogno. Rosa Parks non si è alzata. George Washington ha vinto una Rivoluzione. Abramo Lincoln ha liberato gli schiavi. Franklin Delano Roosevelt, ha sconfitto la Grande Depressione e la poliomelite. Il pubblico è quello tra i più facili da accontentare -i genitori di una terza elementare- e ogni personaggio ha la sua fetta di applausi. Ma quando il personaggio è Barack Obama (“sono il primo presidente afroamericano”) l’orgoglio paterno e materno è dimenticato. E’ lui il vero personaggio, e pazienza se non è mio figlio. Quasi quasi ci scappa la standing ovation.
Sono passate solo un paio di settimane dalle elezioni, e l’occasione per lo sfoggio di questi talenti è data da uno stage di drammaturgia della Terza di Mrs Walters. E, essendo questa l’America, i ruoli che i bambini sono chiamati a interpretare sono quelli di uomini e donne sulle quali si basano la storia e la mitologia americana -pietre miliari che diventano figure familiari a ogni bambino fin dai primi anni delle elementari. Il filo conduttore che li accomuna: aver lottato per ideali di indipendenza, libertà, e giustizia, e aver sconfitto le avversità che li avrebbero altrimenti condannati a un’esistenza ben al di sotto delle loro potenzialità. Per molti versi i bambini imparano aneddoti, storia in pasticche, quasi a fumetti. Facile da criticarne il lato agiografico e superficialmente patriottistico. Ma intanto alcuni principi fondamentali che questi personaggi rappresentano vengono fissati nella memoria di questi bambini. Non imparano a conoscere solo i personaggi: sono i principi che essi rappresentano che si ancorano così nella coscienza collettiva. E’ così che quel tratto della capitale che dal Lincoln Memorial porta al Campidoglio, passando per l’obelisco dedicato a George Washington, con Jefferson che veglia poco lontanto, diventa il luogo ideale per ospitare un evento così straordinario come l'insediamento di Barack Hussein Obama. Che si è meritato, senz’altro, la sua standing ovation.
E sul Mall il 20 gennaio la standing ovation ce l’ha, e non solo per via dei milioni che devono stare in piedi. La folla è oceanica, congelata, felice, ed esausta, ma, soprattutto, la folla è afroamericana. Una campagna elettorale che ha evitato di porre la discussione sulla razza al centro del dibattito ha portato la comunità nera a festeggiare come mai prima d’ora. Loro si festeggiano; vengono per vedere la Storia, per vedere un giorno che non avrebbero mai pensato di vivere. Il resto della società americana, in tutti i suoi colori e le sue gradazioni, festeggia la sua capacità di affermare sì, siamo davvero quello che diciamo di essere. Domani torneremo nei nostri quartieri divisi per colore e per classe economica. Ma da qui non si torna indietro. Il Presidente e la sua famiglia ora rappresentano l’arcobaleno della società americana, e, mentre i giornali scherzano che i salotti di Washington fanno a gara per strapparsi gli ospiti afroamericani, è evidente che il cambio è reale.
Domani cominceranno anche i guai. L’economia, le guerre, e tanti altri problemi da risolvere. Una domanda ricorrente è quando cominceranno le delusioni. “Ojala que no es una trampa!” come dice la mia amica argentina Alejandra, aggiungendo che se è una trampa non c’è speranza per l’umanità. Ma intanto avere Obama in politica è l’equivalente, immagino, per un appassionato di opera, di trovare un nuovo Pavarotti. E’ un piacere ascoltare un discorso presidenziale, seguire una conferenza stampa, osservare un incontro. In questo gran teatro che è la politica americana, con ruoli ben definiti che ognuno interpreta con grande competenza (i deputati, i senatori, i ministri, il presidente, la corte suprema) e con dialoghi e atti ben preparati, ogni entrata in scena di Obama ci ricorda il grande cambiamento epocale al quale abbiamo appena assistito. E sicuramente succederà: l’orchestra a volte non sarà delle migliori; lo spartito spesso non all’altezza; la scenografia, a volte, mediocre. Ma la preparazione, la competenza, l’onestà delle intenzioni e, soprattutto, la passione infusa nel giocare questo ruolo, e il miracolo stesso di questa interpretazione -chiunque ha visto le lacrime afroamericane sul Mall sa che di miracolo si tratta- serviranno a ricordarci, ogni giorno, che paga, a volte, credere nell’audacia della speranza
Simonetta Nardin
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