Ora, non saprei dire se la “Carovana del Libro”, il progetto che ha creato più di dieci anni fa, davvero non faccia rumore, visto che è ormai conosciuto dappertutto grazie alla naturale capacità di Jamila di creare reti e di trasmettere la sua energia a tutti coloro che entrano in contatto con lei e con il suo progetto. Di certo la Carovana continua a camminare e a rappresentare una delle esperienze più significative di quella società civile marocchina che intende affrontare le sfide poste dalla globalizzazione in maniera attiva e consapevole.
La storia di Jamila potrebbe somigliare a tante altre: cresciuta a Marrakech, in una famiglia emigrata dal sud del Marocco, decide di aprire una piccola libreria nei pressi dell’Università di Marrakech. Al contatto con i giovani che dalle zone rurali si iscrivono all’università si rende conto di quanta differenza d’accesso al sapere esista tra la città e i villaggi del Marocco, dove è praticamente impossibile acquistare dei libri, ma è paradossalmente facile acquistare delle parabole. Nel 1994 nasce così l’idea della Carovana, una libreria ambulante che porta i libri laddove sono “rari come la pioggia” per combattere l’esclusione e l’analfabetismo, che ancora oggi colpisce il 40% circa della popolazione marocchina. Da allora l’idea della Carovana è cresciuta, ha ispirato tra gli altri Fatima Mernissi e la sua Carovana Civica e ha portato Jamila in tutta Europa e negli Stati Uniti a diffondere il suo progetto di educazione civica alla globalizzazione. Tra le persone che Jamila incontra nei suoi viaggi molte sono quelle che decidono di venire a vedere da vicino il suo Marocco. Quest’anno insieme a noi di Una Città, c’erano delle ragazze della Banca mondiale, una dottoressa algerina proveniente dall’Inghilterra, una ricercatrice di Parigi, una Ong italiana, nonché attivisti, scrittori, professori marocchini.
Ben presto ci accorgiamo che la Carovana non serve soltanto a portare dei libri nei villaggi rurali del Marocco, ma è molto di più. L’obiettivo è soprattutto quello di costruire, di creare uno spazio di incontro, capace di abbattere i confini culturali e sociali imposti paradossalmente da quella globalizzazione che avrebbe dovuto abbatterli. Jamila ci racconta come il suo scopo sia quello di educare al cosmopolitismo e all’incontro offrendo ai ragazzi la possibilità di comunicare e raccontarsi in modo da sentirsi parte di quella globalizzazione che al momento subiscono soltanto.
Ci bastano dieci minuti dal nostro arrivo nel primo paese toccato dalla Carovana per accorgerci che chi vi partecipa non è semplicemente un ospite della Carovana, un semplice osservatore, ma un attore centrale di questa esperienza.
Il primo paese che visitiamo si chiama Tahanaout e si trova a 25 km a sud di Marrakech. La scuola si trova sopra il paese, ad un’altezza dalla quale è possibile vedere le grandi distese desertiche e le prime montagne dell’Atlas. L’accoglienza è immediata: dopo l’alzabandiera e l’inno nazionale marocchino cantato da tutti i ragazzi nel cortile della scuola, veniamo trasportati quasi senza accorgercene all’interno di un’atmosfera di festa e di partecipazione. I ragazzi della scuola preparano da tempo questo incontro e il nostro arrivo rappresenta solo il momento conclusivo di un lungo lavoro durato tutto l’anno scolastico.
Ben presto non siamo più osservatori o testimoni ma ci troviamo a partecipare alle conferenze, agli atelier di scrittura e di calligrafia, a quelli di pittura, ai laboratori di musica. Le classi sono composte da ragazzi e ragazze. Tra di esse molte sono velate, ma bastano pochi minuti con alcune di loro per accorgerci di come in Marocco il velo assuma un significato diverso per ogni ragazzina che lo indossa. Tutti partecipano attivamente e ci sorprendono da subito per ...[continua]
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