Prendere o lasciare. Non c’era via di mezzo. La seconda metà di dicembre non è di certo il momento migliore per recarsi in visita a Mosca, ma l’invito della Duma per l’anno in corso è giunto solo alla fine di novembre, dopo che la Commissione Esteri del Parlamento Europeo aveva manifestato la propria disponibilità ad incontrare la controparte russa già dalla primavera. Il barometro delle relazioni fra Unione Europea e Federazione Russa segna tempo incerto con la lancetta che tende alla bassa pressione e possibili nuvole di tempesta in arrivo. Da quando Putin è tornato al potere la situazione politica, non certo rosea, è ulteriormente peggiorata. Le timide aperture di Medvedev sono un lontano ricordo. Dopo le elezioni presidenziali di maggio i due protagonisti della scena russa hanno solo invertito le parti ma la differenza si nota. Lo scettro del comando ora è saldamente nelle mani di Putin anche dal punto di vista formale, con Medvedev relegato irrimediabilmente nella penombra, ad un ruolo di secondo piano. "La democrazia è l’unica scelta politica per la Russia”, ha dichiarato il nuovo presidente pochi giorni fa rivolgendosi al parlamento, "ma la democrazia per la Russia vuol dire potere del popolo russo con le sue tradizioni di auto-governo e non la realizzazione di standard imposti dall’esterno”, ha aggiunto a sottolineare come non abbia alcuna intenzione di piegarsi al coro di critiche piovutegli addosso sia dall’opposizione interna che, soprattutto, da Stati Uniti ed Unione Europea. A dire il vero, per quanto riguarda quest’ultima, più che dal Consiglio e dai 27 paesi membri le voci di dissenso nei confronti del nuovo corso russo si sono levate dal Parlamento Europeo, sempre pronto a puntare il dito contro ogni violazione dei diritti umani. Dal punto di vista economico fra Russia ed Unione gli affari vanno a gonfie vele. Il volume degli scambi commerciali è in continuo aumento.

La Russia fornisce all’Europa un terzo del fabbisogno di idrocarburi mentre l’export dell’Unione verso Mosca è in crescita esponenziale. Si è ormai consolidata una complementarietà fra le due economie che rende indissolubile il legame. Consapevoli dell’interdipendenza i governi europei, impantanati nella crisi, si guardano bene dal rivolgere critiche allo scomodo ma prezioso vicino. Non così l’europarlamento che spesso ospita e fa da cassa di risonanza ai rappresentanti della società civile e ai leader dell’opposizione russi. Il rigore dell’inverno moscovita, forse, è apparso ai deputati russi come il rimedio più efficace per raffreddare i bollenti spiriti dei colleghi europei e riportarli a più miti ragioni.
Nessuna accoglienza ufficiale all’aeroporto. Contrariamente alle consuetudini ciascuno dei membri della delegazione è obbligato a sbrigarsi da solo le pratiche di ingresso e di arrangiarsi con il trasporto in città. Mosca non è una città per il turista-fai-da-te. O prendi un taxi o ti adegui con i mezzi pubblici. Nel primo caso rischi di rimanere stritolato per ore nel traffico impossibile della capitale, nel secondo di perderti nei meandri della metropolitana. Chiedere informazioni in inglese è impresa ardua, nessuno ti capisce, districarsi con le insegne in cirillico è ancora più complicato se non conosci l’alfabeto.
Anni di occasionali sforzi mi hanno insegnato a decifrare le lettere cirilliche e, ogni tanto, questo aiuta. Le stazioni del metro moscovita sono un mondo a parte. Brulicano di persone in ogni momento della giornata che percorrono i lunghi tunnel tra decine di stand di commercio informale pronti a venderti ogni tipo di cianfrusaglia. D’inverno, inoltre, sono un ottimo e provvidenziale riparo contro l’aria gelida che brucia il volto ed irrigidisce i muscoli.

Evgenia Cirikova è la giovane e battagliera punta di diamante dell’opposizione. Balzata agli onori della cronaca per la sua lotta in difesa della foresta di Khimki, nei pressi di Mosca, contro il progetto di un’autostrada che avrebbe smembrato il polmone verde della capitale è, oggi, divenuta un punto di riferimento per coloro che si rifiutano di piegare il capo al nuovo vecchio zar. Vittima di continue intimidazioni e minacce da parte delle forze di sicurezza preoccupate della crescente simpatia che la sua azione stava conquistando, Evgenia è riuscita nell’intento di portare la questione all’attenzione dell’opinione pubblica nazionale ed internazionale diventando una paladina del diritto delle comunità locali ad essere informate e coinvolte nella definizione ed attuazione di progetti di carattere pubblico. Nell’autunno del 2011 è stata una dei principali protagonisti della mobilitazione nelle piazze moscovite contro i brogli delle ultime elezioni. "La società civile russa sta vivendo una nuova fase”, esordisce nei locali della delegazione dell’Unione Europea dove ho l’occasione di incontrarla, "non sono d’accordo con chi pensa che la forza dell’opposizione a Putin si sia indebolita, ha solo assunto forme diverse”. "Nessuna modernizzazione è possibile -sottolinea- finché la Russia non abbandona l’attuale modello di sviluppo fondato sullo sfruttamento e l’esportazione di risorse naturali”. Secondo Evgenia le battaglie ambientali si stanno diffondendo a macchie di leopardo in tutto il paese. "La maggior parte della gente non conosce il significato della parola ecologia -osserva- ma è disponibile ad attivarsi per difendere i propri diritti”. È un dato di fatto che di fronte all’insoddisfazione dilagante, l’agenda politica del partito di governo ha dovuto tenere in debita considerazione le questioni ambientali e questo per la Cirikova è visto come una vittoria del suo movimento. "È ormai divenuto un circolo vizioso per questo tipo di economia quello di cercare sempre nuove risorse da sfruttare -conclude- non si può permettere ad un paese di distruggere il pianeta”. Ma le questioni ambientali sono solo uno dei tanti problemi che affliggono la Russia, ammette la leader dell’opposizione mentre denuncia il frequente coinvolgimento di imprese europee nelle malefatte del regime. Invoca, invano, un atteggiamento più fermo da parte dell’Unione nei confronti del proprio governo e, a questo proposito, cita l’esempio della legislazione recentemente adottata dal Congresso americano sul caso Magnitsky.

È dal 2009 che il caso dell’avvocato russo Sergei Magnitsky è al centro dell’attenzione internazionale. Nel novembre di quell’anno morì in una stazione di polizia a causa, presumibilmente, dei maltrattamenti e delle percosse subite da parte delle forze dell’ordine dopo avere denunciato una rete di corruzione legata ad alcune imprese statali. Le indagini avviate dalle autorità giudiziarie non hanno portato ad alcun risultato concreto, nonostante una commissione di indagine indipendente nominata dall’allora presidente Medvedev, così come avvenuto, in precedenza, anche per altri casi che riguardavano difensori dei diritti dall’uomo come, ad esempio, Anna Politkovskaya e Natalya Estemirova. Di fronte alla lentezza esasperante della macchina della giustizia russa gli avvocati di Magnitsky sostenuti da alcune organizzazioni internazionali hanno dato vita ad una campagna presso i governi occidentali volta ad ottenere l’imposizione di sanzioni nei confronti degli agenti di polizia e dirigenti ministeriali sospettati di essere coinvolti nella morte del giovane avvocato. Dopo quelli di Gran Bretagna, Olanda, Svezia e Polonia anche il Parlamento Europeo nell’ottobre di quest’anno ha adottato una raccomandazione ai governi dei paesi membri dove nel denunciare il malfunzionamento del sistema giudiziario russo ed una ragnatela di complicità e connivenze si chiedeva di stilare una lista di funzionari implicati a cui negare il visto di ingresso nell’Unione e congelare gli eventuali conti correnti e asset finanziari depositati presso le banche europee.
La richiesta, ovviamente, ha suscitato piccate reazioni di sdegno a Mosca mentre è stata ignorata nelle capitali europee. Non così a Washington dove in dicembre i deputati del Congresso nel ridefinire il quadro delle relazioni commerciali con la Federazione Russa dopo l’ingresso di Mosca nell’Organizzazione per il Commercio Mondiale hanno approvato una clausola che impone sanzioni a tutte le persone coinvolte nel caso Magnitsky ed in altri casi di evidenti violazioni di diritti umani. Con la firma del presidente Obama la legge è diventata esecutiva scatenando l’immediata ritorsione russa. I quotidiani della capitale in questi giorni dedicano i titoli di apertura alla nuova querelle che avvelena le relazioni russo-americane. "Come si permettono a Washington di interferire con le nostre questioni interne?”, obiettano all’unisono gli esponenti politici, "gli americani dovrebbero occuparsi prima delle violazioni commesse a Guantanamo o dai propri agenti in giro per il mondo nella guerra al terrorismo, condotta in modo sporco al di fuori del diritto internazionale”, rincarano la dose. Proprio nei momenti in cui ci troviamo alla Duma i deputati adottano una legge che sospende le procedure di adozione di bambini russi da parte di famiglie americane. A fare le spese della rabbia russa, quindi, sono paradossalmente centinaia di orfani innocenti, fra di loro molti disabili, condannati a passare il resto della propria infanzia in istituti che non godono affatto di buona reputazione. A nulla valgono i richiami delle organizzazioni per i diritti civili che manifestano in gruppi sparuti davanti al parlamento.

Dal 2008 l’Unione Europea e la Federazione Russa hanno iniziato i negoziati per un nuovo accordo di partenariato e cooperazione che dovrebbe rimpiazzare il precedente ormai in scadenza. Le parti non fanno mistero di mirare ad un trattato più ambizioso che permetta di approfondire le relazioni bilaterali sia dal punto di vista politico che da quello economico. "Malgrado la crisi gli scambi commerciali continuano a crescere”, mette in evidenza Aleksey Pushkov, il presidente della commissione parlamentare incaricata degli affari internazionali mentre ci accoglie alla Duma, "il mercato russo è molto dinamico”. "Stiamo intensificando i rapporti commerciali anche sul versante asiatico -osserva- ma non vogliamo che questo avvenga a scapito dell’Europa”. Nonostante le dichiarazioni di facciata e le buone intenzioni, però, le trattative fra le parti sembrano giunte ad un punto morto. Due, in particolare, sono gli scogli su cui stanno sbattendo i negoziatori. I russi chiedono mano libera nel mercato energetico europeo. Petrolio e metano sono gli unici prodotti che interessano ai paesi dell’Unione e Mosca vorrebbe trarre il massimo vantaggio sia sul piano delle materie fornite che da quello del trasporto. La Gazprom, la potente compagnia russa che opera in regime di monopolio nell’export di gas ai paesi dell’Unione, è particolarmente attiva sul mercato comunitario ma i suoi progetti di espansione infrastrutturali si infrangono contro le direttive europee. Le società energetiche del vecchio contenente sono state obbligate a scegliere separando le attività di fornitura da quelle di distribuzione. Lo stesso è richiesto alla Gazprom se vuole operare in territorio europeo. Mosca invoca una clausola di eccezione, ma Bruxelles non ha alcuna intenzione di cedere arrivando recentemente, addirittura, ad aprire una procedura di investigazione antitrust nei confronti della compagnia russa che ha scatenato le ire del Cremlino. Per quanto riguarda il secondo scoglio, quello della libertà di movimento, i russi insistono nel richiedere l’esenzione reciproca del visto di ingresso ma gli europei esitano nonostante le pressioni crescenti di Mosca in vista delle Olimpiadi invernali di Soci del 2014 dove gli organizzatori contano su un massiccio afflusso di turisti occidentali. "Ci sembra che le ragioni addotte da Bruxelles siano più di natura ideologica e psicologica che di sicurezza”, chiosa Pushkov rimarcando come l’Europa non preveda, per esempio, obblighi di visto per i cittadini provenienti dai paesi dell’America Latina. Inevitabile, poi, che il dialogo si incagli e si concluda sui diritti umani. "L’Europa è un partner importante ma non accettiamo lezioni”, reagisce infastidito alle critiche di Werner Schulz, l’eurodeputato tedesco che accompagno, "anche se le radici della Russia sono in Europa abbiamo una filosofia diversa fondata sulle nostre tradizioni e la nostra storia”. "Guardate a casa vostra prima di criticare gli altri”, rimarca con disappunto un altro deputato russo, "l’Europa è in declino e quello che voi dite è pura immaginazione”.
Saranno, forse, il freddo intenso o i lastroni di ghiaccio sui marciapiedi a indurre i moscoviti all’uso sfrenato dell’automobile trasformando sistematicamente gli spostamenti in superficie nella capitale in un’interminabile e perigliosa odissea. La media è di un chilometro all’ora tanto da obbligarci a scendere dall’autobus per raggiungere in tempo i luoghi degli appuntamenti che, peraltro, si trovano a distanza ridotta. Aggirare la Piazza Rossa è come circumnavigare il Capo di Buona Speranza. Sole che splende sulla Moscova gelata e imbiancata. Sciarpa quanto mai preziosa per riparare la parte bassa del volto dal vento gelido siberiano. Eppure tra le tante pellicce c’è gente che cammina indifferente con il cappotto aperto mentre gli ambulanti si scaldano attorno a fornelli improvvisati.
"L’importante è non buttarsi giù” verrebbe da dire guardando alla situazione della società civile russa. Facile a dirsi, ma difficile a farsi per chi è vittima di metodiche molestie, vessazioni, perquisizioni ed intimidazioni come le organizzazioni non governative, oggi assimilate per legge ad agenti stranieri nel caso ricevano finanziamenti internazionali. Figure come quella di Ludmilla Alekseyeva, però, più che a 007 facenti parte di un complotto internazionale fanno pensare ad innocui comprimari su un palcoscenico occupato stabilmente da un unico protagonista assoluto con i suoi cortigiani. Capigliatura bianca arruffata e ottantacinque anni portati con leggerezza e dignità su un fisico gracile e minuto ispirano un’immediata simpatia oltre che un profondo rispetto per la veterana russa dei diritti umani. "Ho intenzione di inviare una lettera a Putin”, annuncia nel salone oltre il fiume che raggiungiamo trafelati con increscioso ritardo, "per chiedergli di non firmare le ultime leggi liberticide”. "Se entrassero in vigore, anche la mia associazione, Moscow Helsinki Group, avrebbe seri problemi visto che la sede è stata acquistata con donazioni americane”, fa presente. Prima le nuove disposizioni su assembramenti e manifestazioni, poi le nuove norme che regolano la registrazione delle organizzazioni non governative, poi quelle sulla criminalizzazione di calunnia e diffamazione e quindi le ultime modifiche alle leggi che riguardano tradimento e spionaggio stanno mettendo a dura prova il tessuto della società civile russa e restringendo drammaticamente gli spazi di democrazia ed impegno civile. "Le autorità hanno cominciato a utilizzare metodi dittatoriali”, nota con rammarico Ludmilla, "sono interessate solo alla vendita di gas e petrolio e ad eventuali investimenti stranieri”. Per la Aleksyeva, ormai, il tempo delle dichiarazioni è finito, occorrono risposte forti come quella americana. "Sarebbe di enorme aiuto per noi se anche l’Unione Europea imponesse sanzioni sul caso Magnitsky”. Anche Mark Feygin, l’avvocato delle Pussy Riot seduto al fianco di Ludmilla, è della stessa opinione.  "Mosca si sta allontanando da Bruxelles”, sottolinea, "l’Unione non è in grado di provocare il cambiamento in Russia ma, se fosse più determinata, potrebbe contribuire a creare un clima migliore per la società civile ed i prigionieri politici” conclude. "Per fortuna la Corte di Cassazione russa, comunque,” aggiunge ironicamente un altro rappresentante del mondo non governativo, "si trova a Strasburgo”, riferendosi alla Corte Europea dei Diritti Umani del Consiglio d’Europa che con le sue sentenze mette continuamente in mora il governo di Mosca costringendolo a pesanti compensazioni nei confronti dei propri cittadini.
L’Unione Euro-asiatica, intanto, prende forma. Per Putin si tratta di una priorità assoluta, la prova lampante di una ritrovata autorevolezza e credibilità della Russia sulla scena mondiale. La macchina della propaganda si è già messa in moto con associazioni giovanili e circoli culturali sostenuti dal regime che esaltano la doppia identità russa preconizzando sorti e fortune comuni con le repubbliche centro-asiatiche e le altre ex repubbliche sovietiche. Si comincia con Kazakistan e Bielorussia, con Kirghizistan e Tagikistan in lista di attesa e le altre che gravitano nell’orbita a seguire. L’impero colpisce ancora. Al modello di integrazione europeo, in profonda crisi, che vacilla sotto il peso dei debiti sovrani, Mosca contrappone l’offerta di una comunità prospera e sicura che poggia su valori e tradizioni orientali dove la democrazia è guidata da saggi leader illuminati, sempre gli stessi, che amministrano le risorse al servizio del popolo. Di fatto il club degli autocrati. Chiunque si opponga o manifesti dissenso viene tacciato di antipatriottismo e additato come nemico del popolo. "Anche se operiamo in condizioni difficilissime -confessa Ludmilla Alekseyeva nel congedarsi- rimango ottimista, la Russia è incontrollabile”. Forse ha ragione lei ma allo stato attuale delle cose risulta difficile crederle. Dalle vetrate del mio hotel, il Cremlino, oltre la Piazza del Maneggio, sembra a portata di mano. Il sole splendente e l’aria cristallina dell’inverno moscovita rendono il suo profilo nitido e luminoso. E tutto, proprio tutto, sembra sotto controllo.