Ogni grande scrittore sa toccare il cuore dei giovani e Albert Camus non faceva eccezione. Certo, parlava alla sua generazione, che era maturata negli anni 40 e 50; ma fu anche l’autore più popolare tra gli studenti degli anni 60.
Ho letto Camus per la prima volta da adolescente, e ricordo il mio entusiasmo per il suo umanesimo, per quel suo strano miscuglio di pessimismo e ottimismo e per la sua capacità di impegnarsi nella vita politica senza dimenticare la sua personale ricerca della felicità.
Ancora oggi agli studenti delle superiori viene fatta leggere qualche sua opera. Nato nel 1913 in Algeria, Camus era un artista appassionato agli eterni dilemmi della filosofia. Era un uomo del Mediterraneo che viveva in Europa. Un eroe della resistenza antifascista, ma anche un pacifista. Verrà ricordato per sempre come un membro dei circoli esistenzialisti della Parigi del dopoguerra, frequentati da figure come Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir, eppure rimase una persona estremamente riservata; Camus era una celebrità, aveva molte estimatrici e amava atteggiarsi a Humphrey Bogart. Ma era anche un intellettuale molto serio, fu il secondo più giovane destinatario del premio Nobel per la Letteratura. Era un uomo problematico. C’è però qualcosa su cui tutti concordano: Camus fu uno scrittore di notevole integrità, che visse una vita straordinaria e la cui visione morale è ancora capace di dirci qualcosa.
Camus era nato nel 1913 ad Algeri. Suo padre era morto durante la Prima Guerra Mondiale, per cui crebbe con la madre, che era sorda e aveva problemi di linguaggio, e con la nonna. La sua adolescenza fu contrassegnata dal silenzio e dalla povertà, ma per la strada le cose erano ben diverse: nel suo quartiere convivevano ebrei, musulmani e cristiani. Camus imparò così la tolleranza, sviluppando uno sguardo cosmopolita e un’empatia per gli oppressi che non avrebbe mai più perduto.
Si atteggiava a duro, eccelleva nel calcio e passava le giornate in spiaggia. Per fortuna, destò l’attenzione del suo insegnante, Louis Germain, che divenne per lui come un secondo padre e assicurò a questo ragazzo prodigio, precoce ma povero, una serie di borse di studio che gli permisero di arrivare all’università.
Camus conobbe lo scrittore Jean Grenier, che lo introdusse in un’ampia cerchia di intellettuali, tra cui spiccavano Andrè Gide e Andrè Malraux. Entrambi incoraggiarono Camus a scrivere. Iniziò pubblicando saggi sulla vita mediterranea, sul sole e la spiagga, sulla solitudine e sul senso di mortalità. Presto, però, si appassionò al teatro: recitava e poi diresse e scrisse delle opere.
Camus inizialmente viveva come un bohemien. Nel 1934 sposò Simone Hie, che era tossicodipendente, ma dopo una serie di episodi spiacevoli, si separarono. Divorziarono quando Camus decise di sposare Francine Faure -una matematica che proveniva dalla classe media. Fu in questo periodo che riconobbe l’impatto dell’intolleranza e dell’imperialismo, e cominciò a temere per l’avanzata dell’ondata di fascismo.
Per un breve periodo aderì al Partito Comunista. Divenne un giornalista piuttosto noto scrivendo articoli in difesa della Repubblica Spagnola, del Fronte Popolare antifascista, e delle vittime dell’ingiustizia coloniale e delle torture perpetrate dalla polizia in Algeria. I suoi avvincenti editoriali, che denunciavano l’incompetenza e invocavano l’aiuto dell’Europa durante la terribile carestia che aveva colpito la Cabilia nel 1939, destarono scandalo ad Algeri, e diedero a Camus un primo assaggio di popolarità. Tuttavia di lì a poco lasciò il Partito Comunista, disgustato dal suo dogmatismo.
Come succedeva all’epoca, il giornale per cui scriveva nel 1939 venne chiuso e Camus scoprì così che i suoi interventi politici l’avevano reso "inoccupabile”. Quando il suo amico Pascal Pia gli trovò un impiego come corrispondente per il Paris Soir, all’inizio del 1940, decise allora di lasciare Algeri per la Francia. Detestava la grigia malinconia della città, gli alberghi da pochi soldi, l’opprimente povertà e soprattutto la distanza dalla moglie. Intanto la guerra e l’universo concentrazionario cominciavano a prendere forma. I limiti dell’etica si stavano disintegrando. Il mondo sembrava divenire sempre più assurdo, privo di qualsiasi significato ultimo. Camus in quegli anni scrisse tre opere che cercavano di offrire una risposta a quest’assenza di senso. Lo Straniero (1942) è un’opera enigmatica che celebra la capacità di un individuo di rifarsi una vita all’ombra della morte. Il Mito di Sisifo (1943) è una meditazione filosofica sul suicidio -risposta assurda a un mondo assurdo- e sulla ribellione contro l’assenza di significato mediante il perseguimento della lucidità intellettuale e l’abbraccio della dignità umana. Questi lavori avrebbero ispirato i giovani di tutto il mondo. Tuttavia fu Caligola, scritto nel 1938 ma rappresentato solo nel 1945, a offrire le introspezioni più profonde nel futuro di Camus. Il protagonista è un imperatore un po’ pazzo, ossessionato da ambizioni utopistiche, dall’arbitrarietà del potere e dall’assurdità della vita. L’opera teatrale mette in scena un’etica dell’impegno politico che anticipa la successiva decisione di Camus di unirsi alla Resistenza francese.
In Francia Camus viveva in clandestinità, lavorava alla redazione di Combat, e scriveva articoli che lo resero famoso in tutto il Paese. Fu in questo periodo che divenne amico di Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir e di altre figure leggendarie che avrebbero dominato il vivace panorama intellettuale emerso dopo il crollo del nazismo. Sempre in quegli anni si innamorò di Maria Casares, la grande attrice, ricordata ora per un suo piccolo ruolo in un classico del cinema Children of Paradise. La Casares, figlia dell’ex Primo Ministro spagnolo Casares Quiroga, all’epoca della Guerra Civile Spagnola, ancora adolescente aveva prestato servizio come infermiera. In seguito sarebbe stata l’interprete di svariate rappresentazioni di Camus, minacciando continuamente di abbandonarlo, se non avesse lasciato la moglie. Comunque, da amante o da amica, la Casares rimase sempre al suo fianco.
Intanto grandi amicizie nascevano nei cafè di Saint Germain des Pres, agli eventi culturali underground, nelle festicciole casalinghe e negli innumerevoli incontri politici. Nella Parigi del dopoguerra Camus ritrovava tutti i temi che l’avevano impegnato: la responsabilità personale, l’impegno politico, la mancanza di senso dell’esistenza dopo-Auschwitz. Le riflessioni sulla sua esperienza nella Resistenza francese lo portarono a scrivere quel bellissimo romanzo che è La Peste (1947), un’ode alla solidarietà e al coraggio delle persone comuni di ribellarsi a un mondo ingiusto. Sartre e Camus lavorarono insieme nella ricerca di un’alternativa politica tanto al capitalismo che al comunismo. Il tentativo fallì e finirono per allontanarsi l’uno dall’altro: Sartre guardava a Oriente, e Camus a Occidente.
Con la Guerra Fredda sullo sfondo, Camus pubblicò le sue riflessioni sull’assassinio come "patologia dell’epoca” ne Il Ribelle (1952), accolto come attacco alla rivoluzione comunista e adesione al riformismo sociale di stampo liberale. Ne seguì un dibattito, e nell’opinione pubblica fu Camus ad avere la peggio. Sartre lo accusò di non aver preso posizione in nome degli ideali umanitari. Camus rispose con un racconto satirico, La Caduta (1956), sull’ipocrisia dei sedicenti rivoluzionari bohemien. Uno utilizzava l’etica liberale per mascherare l’assenza di una strategia politica anti-imperialista, l’altro sbandierava il suo impegno politico attraverso un autoproclamato realismo che non vedeva la vera natura del comunismo.
Le accuse di Sartre sembrarono ottenere una consacrazione definitiva quando Camus vinse il Premio Nobel per la Letteratura, nel 1957. Nel suo discorso infatti Camus condannò il terrorismo di entrambi, imperialisti e anti-imperialisti, nell’ambito del conflitto per l’indipendenza dell’Algeria.
Camus, denunciando la tortura, la pena di morte e gli altri abusi in materia di diritti umani aveva denunciato entrambi gli schieramenti. Molti, però, accusarono l’autore di aver fatto ricorso ad argomentazioni piatte e banali. La sua stella letteraria si indebolì con l’uscita di alcune poco emblematiche raccolte di saggi e racconti brevi.
Camus si rifugiò in diverse relazioni sentimentali -vivendo di rendita della propria fama.
Per quanto fosse stato Sartre a vincere la battaglia, sarebbe stato però Camus a vincere la guerra. Nessuno sapeva che stesse lavorando a un nuovo manoscritto, Il Primo Uomo, quando morì improvvisamente in un incidente automobilistico, nel 1960. Quel romanzo incompiuto sembrò subito molto promettente, e la sua pubblicazione, nel 1996, rinnovò la sua fama.
Aveva prodotto un altro capolavoro di indagine morale.
Soprattutto all’indomani del collassso del comunismo, e oggi nell’era nel dopo undici settembre, c’è un urgente bisogno di un umanesimo cosmopolita e politico. Nessuno scrittore appare oggi, in un mondo privo di solidarietà, così importante da recuperare come Albert Camus.
Stephen Eric Bronner*
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