Le azioni simboliche, le sanzioni e la minaccia dell’uso della forza non hanno funzionato finora, e non funzioneranno mai. Le azioni simboliche hanno già prodotto l’"ispirato” tentativo di etichettare le Olimpiadi di Pechino del 2008 come "Olimpiadi del Genocidio”, a meno che la Cina non avesse esercitato pressioni su Khartoum perché modificasse la sua politica verso il Darfur. Il tentativo non portò a nulla: qualcuno, apparentemente, aveva dimenticato di prendere in considerazione il fatto che la Cina acquista il 60% del petrolio sudanese. Su questa falsariga, i gruppi attivisti di cui sopra, per anni, hanno invocato la messa in stato d’accusa del Presidente sudanese Omar al-Bashir per i crimini di guerra commessi nel Darfur; ma la recente decisione della Corte Penale Internazionale non ha fatto altro che aumentare la sua popolarità in patria, mettendo a rischio eventuali future iniziative di pace e incrementando entro la comunità africana i sospetti di una strumentalizzazione occidentale del tribunale. Le sanzioni attualmente in vigore, nel frattempo, hanno spinto il Sudan ancora più verso la Cina, la Malesia e l’Indonesia, e lo scorso anno gli investimenti nel Paese sono di fatto aumentati di quasi tre miliardi di dollari.
L’imposizione di una no-fly zone per impedire gli attacchi aerei sul Darfur da parte del Sudan, Paese delle dimensioni dell’intera Europa Occidentale, viene ora universalmente considerata impraticabile. La soluzione militare, infine, sarebbe una strategia ancor più sconsiderata, dal momento che si contano a dozzine i gruppi tribali dotati di strutture paramilitari. Le forze ribelli ostili al regime di Khartoum sono divise in più di venti fazioni in lotta tra loro, e i quasi tre milioni di residenti dei 150 campi per sfollati interni del Darfur e di altre parti del Sudan sarebbero sicuramente i più colpiti da un’invasione occidentale.
Creare accordi di pace durevoli, migliorare le condizioni degli sfollati e contribuire alla stabilità del Paese richiede un impegno costruttivo verso il Sudan, da parte degli Stati Uniti; serve fare ricorso anche alla carota, e non solo al bastone. Il Generale Gration dovrebbe proporre al Presidente Obama una soluzione politica che ammorbidisca le sanzioni esistenti, facilitando magari gli investimenti esteri, nell’eventualità Khartoum decidesse di smobilitare le sue milizie più sanguinarie e cominciasse a implementare piani di compensazione per tutti coloro che attualmente vivono nei campi. Gli sforzi per contrastare l’influenza cinese richiederebbero politiche apposite per reintegrare il Sudan nella comunità internazionale. E’ previsto per il 2011 un referendum, nel sud, sulla possibilità di dividere il Paese in due stati. E’ difficile immaginare che il nord possa mai riconoscere un’eventuale secessione.
Sono state rivolte nuove accuse di genocidio a Omar Bashir, assieme agli appelli all’intervento occidentale. C’è come una mancanza di voci alternative, sul Sudan, e un’ignoranza diffusa sulla storia e la politica della regione. Negli ultimi due mesi sono morte duecento persone, in Darfur, e anche la Lord’s Resistance Army dell’Uganda settentrionale, dopo aver seminato il terrore in Congo, si fa minacciosa.
Solo la ricerca di una stabilità regionale mediata da iniziative diplomatiche può avere un senso oggi, data la complessità della situazione e le potenzialmente disastrose ripercu ...[continua]
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