Confesso di avere cercato di resistere fino all’ultimo. Quando Ulrike Lunacek mi ha chiesto di aggiungermi alla delegazione di europarlamentari incaricati della missione di osservazione delle elezioni in Kosovo ho avuto un improvviso sussulto, ma non ho avuto il coraggio di dire di no. Ho così lasciato che gli eventi facessero il loro corso sperando che il fato accorresse in mio aiuto. E solo all’ultimo minuto, dopo avere aspettato pedantemente e ricevuto tutte le autorizzazioni necessarie, mi sono recato in agenzia viaggi confidando che a pochissimi giorni dalle elezioni, dato l’alto numero di osservatori internazionali previsto, gli aerei per Pristina fossero al completo. Amo viaggiare, ma preferisco limitare le trasferte allo stretto indispensabile evitando il turismo politico e le presenze ornamentali. Da una decina di anni il Parlamento Europeo invia missioni di osservazione in paesi che ne fanno richiesta con l’obiettivo di monitorare il processo elettorale, individuarne i punti deboli e verificarne la correttezza.
All’inizio di ogni anno un’apposita commissione si riunisce e stila una lista delle priorità, siano esse elezioni legislative o presidenziali e, in casi eccezionali, anche comunali o referendum. Lo fa, in particolare, scegliendo i paesi più critici dal punto di vista democratico o instabili da quello istituzionale o che aspirano a sviluppare o si trovano in relazioni più strette con l’Unione Europea. Queste missioni spesso non aggiungono nulla a quanto già si conosce dello stato in oggetto e nell’arco di tre giorni risulta difficile poter valutare appieno le operazioni di voto. I parlamentari europei si affidano, così, a missioni di lungo termine formate da tecnici ed esperti delle istituzioni comunitarie che si installano nei luoghi indicati con settimane di anticipo, monitorando lo svolgimento di tutte le fasi della campagna elettorale e radiografando la preparazione del voto.
Alle delegazioni dell’europarlamento, in pratica, spetta il compito di convalidare e mettere il sigillo ad un processo lungo e complesso dando visibilità politica e credibilità all’azione esterna dell’Unione che si assume così il compito di certificare la regolarità delle consultazioni e, come diretta conseguenza, la legittimità di parlamenti e governi.
1266 candidati distribuiti in 29 formazioni politiche si contendono i 120 seggi dell’Assemblea del Kosovo. Sono le prime elezioni legislative dopo la dichiarazione di indipendenza del febbraio del 2008. Si è trattato di una campagna elettorale breve, di soli dieci giorni, provocata dal voto di sfiducia dell’assemblea parlamentare dopo le dimissioni del presidente in carica Sejdiu, che hanno fatto seguito ad una decisione della Corte Costituzionale che ha sancito l’incompatibilità fra la carica di presidente dello stato e quella di un partito. Le elezioni previste per la fine del 2011 sono così state anticipate al febbraio dello stesso anno per poi venire ulteriormente avanzate a dicembre 2010 dopo il ritiro dal governo dei ministri della Lega Democratica del Kosovo ((Ldk), lo storico partito fondato da Ibrahim Rugova, padre prematuramente scomparso dell’indipendenza kosovara. Lo scontro in corso fra il Partito Democratico del primo ministro Hashim Thaci (Pdk) e la Lega Democratica, esacerbato dai dissensi sulla privatizzazione del servizio di telecomunicazione, ha fatto precipitare il paese in una crisi istituzionale di cui avrebbe volentieri fatto a meno.
Mentre il mandato della missione dell’Unione Europea Eulex che affianca e controlla le autorità del Kosovo è stato prorogato fino al giugno del 2012, il processo di riconoscimento internazionale fatica a farsi strada, anche a seguito della efficace azione di disturbo della diplomazia della Serbia che continua ad opporsi all’indipendenza dell’ex provincia. In base alla risoluzione adottata nel settembre scorso a Nuova York dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite spetta all’Unione Europea il compito di facilitare il dialogo fra Pristina e Belgrado, ma termini e modalità di questo sono ancora oggetto di discussione fra le parti.
Per le autorità kosovare, infatti, i negoziati dovrebbero limitarsi a temi come confini e proprietà intensificando la cooperazione in materia di polizia, giustizia, controlli doganali e ricerca delle persone scomparse, senza rimettere in causa lo statuto di indipendenza; per quelle serbe, al contrario, anche quest’ultima questione, la più spinosa, deve essere messa sul tavolo. La Serbia si dichiara già pronta fin d’ora all’apertura dei colloqui; il Kosovo lo sarà solo dopo aver ridefinito i propri assetti istituzionali.
Per l’ennesima volta ho rischiato di perdere l’aereo, complice un imbottigliamento mostruoso sulla tangenziale di Milano, Mai, però, mi sarei immaginato di trovarmi appena agli inizi delle peripezie di un viaggio interminabile che mi avrebbe condotto a Pristina solo a distanza di ventisei ore. Tutto bene da Malpensa a Zurigo, poi ritardi e nebbia nel cielo di Zagabria, circonvoluzioni d’attesa nell’etere e atterraggio d’appoggio all’aeroporto di Spalato. Rifornimento di carburante e sbarco temporaneo in attesa di miglioramento delle condizioni atmosferiche e arrivo a Zagabria nel cuore della notte, troppo tardi per prendere il volo di coincidenza per Pristina. Sento chiamare il mio nome nella ressa davanti al banco di accettazione dell’hotel in cui siamo stati trasferiti per la notte. Giro lo sguardo ma non riconosco la persona che mi chiama. E’ Annalisa, di professione interprete all’europarlamento, aggregata alla mia delegazione, ma spiaggiata come il sottoscritto in Croazia in provenienza da Bruxelles. C’è una "fauna di nicchia” nelle istituzioni europee nel senso che lavora proprio in una nicchia ed in particolare nelle cabine dai vetri oscurati che contornano le sale delle riunioni. Gli interpreti conoscono perfettamente i visi delle persone che frequentano l’eurocamera; chi si trova in sala, invece, riconosce la voce che arriva in cuffia ma è una voce che rimane spesso senza volto. Dopo una breve presentazione facciamo il punto della situazione. Da Zagabria il giorno seguente non ci sono voli diretti per Pristina e bisognerà ritornare a Vienna per la coincidenza del mattino. Quattro ore di sonno e ritorno all’aeroporto con la notizia che lo scalo della capitale austriaca sta accumulando ritardi a causa di una fitta nevicata con perdita certa del collegamento per il Kosovo. L’esperienza decennale nella regione mi ricorda che a Lubjana ci sono voli diretti per Pristina che mi vengono confermati dal desk della compagnia aerea. Tradizionale tira e molla con il tassista che passa da 250 a 160 euro in pochi minuti e via verso la Slovenia nel gelo di una campagna che ero solito percorrere negli anni Ottanta, senza confini e tanto meno barriere, oggi trasformate in un muro quasi invalicabile dagli accordi di Schengen. Arrivo a Pristina sfinito dopo essermi fatto un’invidiabile cultura sui servizi aeroportuali ed in grado si stendere un’analisi comparata sugli standard e la qualità delle sale d’attesa, le sale Vip ed i cessi degli aeroporti di una cospicua fetta d’Europa.
Alla vigilia dell’appuntamento elettorale la sede della delegazione dell’Unione Europea a Pristina è stata trasformata in un palcoscenico su cui si alternano davanti agli eurodeputati i leader delle principali formazioni politiche. Mi sono perso le sessioni tecniche della mattina, in cui venivano spiegate le regole basilari del codice elettorale kosovaro, ma avevo comunque avuto il tempo di documentarmi in materia durante i tempi morti del viaggio. La mia lunga esperienza di scrutatore, inoltre, è un elemento prezioso che facilita la comprensione delle consuetudini della vita di seggio in tutti gli angoli del continente. Sorridenti, agguerriti e diffidenti: i rappresentanti dei partiti che sfilano ad uno ad uno di fronte a noi si mostrano convinti del successo, ma allo stesso tempo manifestano sospetti di possibili brogli ed irregolarità nei confronti, in particolare, del partito del primo ministro Thaci, le cui roccaforti si trovano nella parte centro-orientale del paese. Attenzione agli elenchi degli elettori, zeppi di persone decedute, ma soprattutto attenti al voto multiplo, pratica corrente nelle precedenti consultazioni secondo i nostri interlocutori. Nessuno, comunque, si affiderà alla piazza in caso di contenziosi: la promessa è quella di risolvere gli eventuali problemi nelle sedi opportune evitando di mettere a rischio le fragili istituzioni kosovare.
Gli analisti sono concordi nel ritenere che la vera novità elettorale è costituita dalla discesa in campo di Vetevendosje, il movimento di protesta che si oppone all’intromissione della comunità internazionale in Kosovo e rivendica per il paese il diritto alla completa auto-determinazione. Oltre a contestare pesantemente la presenza straniera, negli ultimi anni questo movimento si è caratterizzato per l’aperta denuncia del malgoverno criticando in modo veemente la corruzione della classe politica al potere. Dopo anni di semina in cui era visto dall’establishment come il fumo negli occhi, osteggiato ed emarginato, Albin Kurti, il leader di Vetevendosje, ha deciso di fare il grande passo giocando la carta istituzionale. "Abbiamo lavorato alacremente per queste elezioni”, esordisce Kurti che rivedo volentieri dopo un paio di anni, "con più di 500 iniziative pubbliche su tutto il territorio siamo l’organizzazione più efficiente e radicata”. "Se questi politici rimangono al potere diventeremo peggio della Bosnia”, continua, "stanno svendendo il paese; il processo di privatizzazione in corso ricorda l’America Latina degli anni Ottanta”.
Sono 5000 i rappresentanti di lista che Vetevendosje è riuscito a piazzare nei seggi garantendosi un discreto controllo delle operazioni di voto. Anche per lui c’è il pericolo di brogli ma conta sull’imparzialità delle commissioni elettorali. Il movimento di Kurti ha introdotto nell’agone politico un argomento considerato fino ad oggi tabù. Di Grande Albania si è sempre discusso ma mai la questione era entrata in modo aperto in una contesa elettorale. "Un’indipendenza senza sovranità non è vera indipendenza”, sottolinea Kurti, "la presenza internazionale deve limitarsi ad un ruolo di supervisione senza poteri esecutivi”. "I kosovari devono avere il diritto di scegliere il proprio futuro che comprende anche la possibilità di congiungersi con l’Albania”, aggiunge dopo avere osservato che il confine fra Kosovo ed Albania è puramente artificiale e frutto di imposizione. Si dichiara, inoltre, contro l’apertura del dialogo con Belgrado perché, a suo dire, occorre fermare l’egemonia serba nella regione. "La Serbia è come un polipo, con i tentacoli che arrivano dappertutto grazie alla Republika Srpska in Bosnia, la chiesa ortodossa e la zona di Mitrovica Nord, che rifiuta di tornare sotto il controllo di Pristina; è come la Russia intenta a crearsi nuovi satelliti dopo il crollo dell’Unione Sovietica”. E’ con queste immagini forti e paragoni arditi che Kurti ha catturato l’attenzione dei suoi cittadini trasformando le elezioni in un referendum sul cambiamento. L’Albin Kurti di oggi, comunque, sembra meno radicale di quello che conoscevo al punto da spingersi a sostenere l’adesione futura del Kosovo all’Unione Europea, contrariamente a quanto dichiarato in passato.
Sveglia antelucana. Con Jelko Kacin, eurodeputato sloveno, e Jutta Steinruck, eurodeputata tedesca, mi è stato assegnato un percorso nella parte centro-settentrionale del Kosovo con una lista precisa di stazioni di voto da controllare. Si comincia al mattino dall’allestimento dei seggi per arrivare a sera inoltrata con le operazioni di scrutinio.
La città di Skenderaj si trova al centro della regione di Drenica considerata la più povera del paese. Di Skenderaj si ricorda solo la prima apparizione dell’Uck in Kosovo nel 1997. Pochi votanti in linea con quanto riscontrato nelle altre località, anche se non manca un certo via vai. Il nostro improvviso arrivo, però, coglie impreparato il personale che cerca in qualche modo di rimettere le cose in ordine. Rimane di fianco al registro degli elettori il fascicolo delle liste aperto sulla pagina del Pdk così come all’interno delle semi-cabine di voto dove giace anche materiale elettorale dello stesso partito. Sono irregolarità che prontamente segnalo, ma che non fanno presagire quanto accadrà dopo la nostra partenza con un sospetto tasso di partecipazione doppio in città rispetto al resto del paese. Pochi giorni dopo, comunque, la Commissione Elettorale Centrale deciderà di fare ripetere il voto in questi seggi. Per evitare il voto multiplo ad ogni votante viene spruzzato un inchiostro indelebile sulle dita della mano. All’ingresso di ogni seggio gli operatori controllano con una lampada apposita se vi sono tracce di questo inchiostro sulle mani di chi si appresta a votare. Prove e controprove ci confermano il cattivo funzionamento delle lampade, incapaci di individuare gli eventuali trasgressori. Forti dubbi, inoltre, permangono sulla pratica del voto condizionale che permette ad un elettore di votare in un seggio diverso rispetto a quello dove è registrato. Occorrerebbero controlli incrociati in tempi ultra-brevi, che l’anagrafe elettorale non è in grado di fornire.
Mitrovica Nord è ancora off-limits. Qui la comunità serba, contrariamente al resto del paese, si ostina a rifiutare la giurisdizione di Pristina e resiste a qualsiasi tentativo di integrazione. Per ragioni di sicurezza e con l’obiettivo di facilitare il voto di qualche coraggioso intenzionato a rompere il boicottaggio, la missione europea ha provveduto a dispiegare quattordici seggi volanti all’aperto in corrispondenza dei punti di maggior traffico. Il personale straniero di madre lingua serba, protetto dalla polizia, aspetta invano l’arrivo di qualcuno. Alla fine della giornata saranno soltanto tre gli audaci che si sono spinti fino alle urne per depositare il proprio voto, fra questi una donna di origine croata che accogliamo con sorpresa, ma secondo l’ambasciatore italiano Giffoni che ci accompagna era comunque giusto dare un’opportunità a tutti, anche a chi non si è nemmeno accorto che era giorno di elezioni. Passo la serata nella parte sud della città, quella albanese, chiuso al seggio due della Scuola Migieni per seguire lo spoglio delle schede. Atmosfera rilassata e procedure impeccabili con il presidente della commissione elettorale che ogni tanto mi chiama in causa per avere la mia opinione sui voti contestati. Fuori, intanto, per le strade, i sostenitori del Pdk stanno già festeggiando tra gli schiamazzi una vittoria tutta da confermare.
"Le elezioni in Kosovo sono un importante passo in avanti nel suo sviluppo democratico”, così si apre il comunicato stampa che stiliamo all’una di notte dopo una riunione improvvisata in hotel a Pristina. Nel documento si chiede alle autorità competenti di aprire un’indagine sulle segnalazioni di frodi verificatesi in un paio di municipalità. Così, peraltro, sarà. Il giorno dopo infuria già la bufera con accuse di brogli e denunce di altre irregolarità. A distanza di due settimane la Commissione Elettorale Centrale non ha ancora fornito i risultati ufficiali. Missione europarlamentare compiuta? Forse, ma è bene aspettare prima di pronunciarsi. La democrazia in Kosovo ha tempi e modi diversi. L’importante è crederci.
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Paolo Bergamaschi è consigliere per gli affari esteri al Parlamento Europeo. Veterinario di professione, collabora con riviste, siti web e quotidiani. Con Infinito edizioni ha pubblicato Passaporto di servizio (2010) e L’Europa oltre il muro (2013). Da ve...
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