Quello di Vilnius doveva essere il vertice della consacrazione definitiva del Partenariato Orientale, il momento solenne in cui raccogliere i primi concreti risultati del processo lanciato a Praga nel maggio del 2009. Si è trasformato, invece, in una leziosa passerella cerimoniale dei leader europei frustrati dalla imprevista riluttanza di alcuni dei colleghi orientali di percorrere insieme il cammino tracciato quattro anni prima. La presidenza lituana aveva preparato l’appuntamento nei minimi dettagli puntando sul successo del summit di fine novembre per coronare il primo storico semestre del governo dell’Unione da parte della repubblica baltica. Non aveva, però, fatti i conti con il vicino russo determinato a difendere i propri interessi utilizzando tutti i mezzi a sua disposizione, fino alla minaccia di recidere i tradizionali legami economici che ancora costituiscono buona parte del prodotto interno lordo degli ex satelliti. Eppure i sintomi del malessere russo si erano manifestati da tempo. D’altronde Putin non ha mai fatto mistero delle sue intenzioni di ricostituire l’ex-spazio sovietico sotto nuove spoglie, a costo di scuotere e mettere a rischio i rapporti apparentemente consolidati con l’Europa. E non appena la perdurante crisi economica ha intaccato la capacità di attrazione dell’Unione, ha messo in atto il suo disegno fondato su una miscela di hard e di soft power. Prima i meticolosi controlli degli automezzi alla frontiera che in agosto hanno cominciato a ingolfare il transito verso la Russia, poi assurde e incomprensibili ragioni fito-sanitarie per bloccare alcuni generi di merce, quindi irrigidimenti e avvertimenti di ritorsione nella sfibrante trattativa sul prezzo del gas e il debito ucraino pregresso. Il tutto condito con suadenti offerte di facilitazioni commerciali e vantaggiose linee di credito a riprova di un abile uso della strategia del bastone e della carota.
I negoziati dell’accordo di associazione fra Unione Europea e Ucraina si sono conclusi nel marzo del 2012. Primo nel suo genere, questo accordo avrebbe dovuto fare da battistrada per i successivi con Moldova, Georgia, Armenia, Azerbaigian ed eventualmente Bielorussia una volta chiusa la parentesi della dittatura di Lukascenko. Bruxelles, però, aveva sospeso la firma finale condizionandola al soddisfacimento di alcuni requisiti, in particolare quello che riguardava la possibilità per l’ex-primo ministro Yulia Tymoscenko di abbandonare il carcere per ricevere all’estero adeguate terapie mediche ponendo fine alla campagna di giustizia selettiva a carico di esponenti dell’opposizione. Da quasi un anno i mediatori europei, l’ex presidente del parlamento europeo Pat Cox e l’ex presidente della Polonia Aleksander Kwasniewski, facevano la spola fra le capitali del vecchio continente e Kiev per smussare gli angoli e assistere le autorità ucraine nell’adozione dei provvedimenti necessari in vista del vertice di Vilnius. Tutto sembrava andare nella giusta direzione quando in estate da Mosca sono partiti i primi richiami che si sono ben presto tramutati in ostacoli commerciali che hanno messo in ginocchio l’interscambio fra l’Ucraina e la Federazione Russa. Di fronte all’improvviso precipitare degli eventi, le autorità di Kiev hanno così deciso il 20 novembre di sospendere la preparazione della firma degli accordi con l’Unione in attesa di risolvere le controversie con Mosca.
Nell’inverno del 2004 Piazza Maidan divenne la scena principale della rivoluzione arancione che portò al potere il filo-europeo Yushchenko. Una volta spente le luci della ribalta, però, la rivoluzione scolorì tra disarmante inettitudine e furibonde lotte intestine, spianando la strada per il ritorno al governo del Partito delle Regioni, considerato vicino agli interessi di Mosca. Ed è ancora il Maidan che in questi giorni torna a essere il fulcro della mobilitazione pro-europea contro la svolta filo-russa del presidente Viktor Yanukovic. Arrivo a Kiev per preparare la visita dell’eurodeputata tedesca Rebecca Harms mentre il centro della città brulica di gente giunta da tutti gli angoli dell’Ucraina.

Avevo detto a Serhyi di non scomodarsi, ma lui mi attende ancora una volta all’aeroporto per darmi il benvenuto in mezzo alla solita folla vociante che non appare poi così imponente nel nuovo gigantesco terminal, decisamente sovradimensionato rispetto al flusso reale dei passeggeri.
Durante il trasferimento all’hotel mi fa brevemente il punto della situazione. "Il governo non si aspettava una reazione così forte e improvvisa -dice- ma anche gli osservatori più attenti sono stati colti di sorpresa dalla protesta dilagante”. Contrariamente alle occasioni precedenti a Serhyi avevo chiesto di trovarmi, questa volta, un alloggio nel centro per essere nel vivo della manifestazione. Non potevo immaginare, però, che la dimostrazione si sarebbe trasformata in sit-in permanente con animazione non-stop nell’arco di tutte le ventiquattro ore sul palco improvvisato allestito in cima alla scalinata che si trova alla base della colonna centrale della piazza. Tra le centinaia di bandiere giallo e blu dell’Ucraina e quelle blu con le dodici stelle in cerchio dell’Unione Europea risalta l’assenza dei simboli dei partiti di opposizione. Sono, infatti, i giovani e gli studenti con il sostegno dell’intellighenzia a gestire, incuranti di gelo e nevischio, in modo auto-organizzato e spontaneo i tempi della protesta tra musica, danze, bivacchi e slogan urlati a squarciagola. "Ukraina ze Evropa”, l’Ucraina è Europa, e "Ganba Yanukovic”, vergogna Yanukovic, sono quelli più ricorrenti in un crescendo di allegria e partecipazione festosa che si estende negli ampi sottopassi della piazza dove continuano i balli popolari al suono degli artisti di strada. Sul palco si alternano leader locali, ospiti internazionali e rock band a testimonianza della vivacità e della ricchezza del mondo musicale ucraino tutto schierato a favore della scelta europea. Siamo alla vigilia del summit di Vilnius e c’è una trepidante attesa nella speranza malrisposta che il presidente ucraino cambi opinione all’ultimo momento e si pieghi alle richieste dei manifestanti.
Il ristorante Katyuscia si trova non molto distante dal Maidan. Ci finisco dentro per caso alla ricerca di un riparo dal freddo. Fa parte di una catena di locali in voga di questi tempi in Ucraina. Paradossale, però, è il richiamo agli anni Sessanta con arredi spartani e divani squadrati in perfetto stile sovietico. E anche le abitudini del personale sembrano le stesse di allora, con la cameriera che mi sollecita in modo brusco a terminare il borsch caldo perché è ora di chiusura. Il conto arriva all’interno di una cartella in pelle con sopra stampigliato "Territorio Urss”. Si tratta, ovviamente, di un riferimento ironico, ma con i tempi che corrono a Kiev di certo appare fuori luogo oltre che di cattivo gusto.
"è un nuovo soggetto politico quello che è nato in questi giorni in Ucraina”, mi confida Kyryl, che lavora per una fondazione europea, dietro a un boccale di birra. "Difficile dire se si trasformerà in partito -aggiunge- di certo colma un vuoto nella società del mio paese che ha portato a indifferenza e profonda sfiducia nei confronti di tutto il mondo politico”. I recenti sondaggi a questo proposito non lasciano scampo. Parlando con altre persone mi accorgo che l’opinione di Kyryl è condivisa da molti, stufi di una contrapposizione sterile, più apparente che sostanziale, tra attori ormai consunti che si rinfacciano torti e ragioni con metodi e comportamenti speculari mentre il paese sprofonda. Anche Iegor, uno dei leader della rivolta studentesca, conferma questa impressione. "Questo è solo l’inizio -commenta- abbiamo bisogno di un nuovo governo ma anche di una nuova opposizione”. Dai discorsi che circolano la rabbia sembra incontenibile. C’è perfino chi dal palco arringa la folla chiedendo che i politici che mentono vengano perseguiti penalmente. Anche l’Ucraina ha i suoi forconi. Mentre quelli italiani, però, protestano perché non vogliono morire d’Europa, i forconi di Kiev si mobilitano a oltranza pronti a morire per l’Europa. Il vecchio continente non finisce di stupire con le sue contraddizioni lancinanti e i contrasti stridenti.

La piazza ucraina attende con ansia un segnale da Bruxelles, ma dalla capitale belga arrivano solo parole e frasi di circostanza. D’altronde come potrebbe un’Unione avvitata su stessa, in preda alle convulsioni di una crisi sia economica sia esistenziale, accorrere in soccorso di un vicino così ingombrante? L’Ucraina è a pezzi, l’Europa quasi. Senza nuovi e consistenti crediti internazionali Kiev, è destinata al fallimento, ma a Bruxelles non si trovano nemmeno le risorse minime per rendere più equa e solidale l’Unione, figurarsi per un grande paese di quasi cinquanta milioni di abitanti sull’orlo della bancarotta che si porta appresso immensi problemi strutturali, nodi politici complessi e conflitti identitari irrisolti.
C’è da rompersi il capo. "Meglio un uovo oggi che una gallina domani” sembra essere la strategia adottata da Yanukovic in vista delle elezioni presidenziali del 2015. Stando alle previsioni degli esperti, nel caso vada in porto l’accordo di associazione, i primi benefici per l’economia ucraina dal libero scambio con l’Unione arriveranno solo dopo cinque anni contando sull’ingresso di ingenti investimenti dall’estero in grado di modernizzare un apparato industriale obsoleto, inadeguato per il mercato europeo. Con la Russia, invece, i vincoli sono solidi e i vantaggi immediati.
è bastato, infatti, per Mosca imporre le prime annunciate misure di ritorsione per mettere in ginocchio l’economia della parte orientale del paese, feudo tradizionale del partito del presidente indispensabile per la rielezione. è un uovo dal sapore amaro, però, quello che si prepara dato che da più parti viene visto come il primo passo verso la reintegrazione dell’Ucraina nell’ex spazio sovietico oggi rappresentato dall’Unione Doganale fra Federazione Russa, Bielorussia e Kazakistan. Kiev si trova a dover scegliere se essere parte di un progetto, quello europeo, o periferia di un impero, quello di Mosca, ma non vuole o non può decidere paralizzata dalle divisioni interne e dalle spinte contrapposte delle piazze. A qualche metro di distanza dal Maidan, infatti, manifestano occasionalmente anche poche migliaia di filo-russi scaricati di tanto in tanto da autobus organizzati dai partiti di governo in provenienza dalle città più orientali. Si tratta in maggioranza di pensionati in gita premio dall’aria spaesata e scarsamente convinta che intonano deboli cori di disapprovazione nei confronti dei molto più numerosi concittadini assiepati nel centro della capitale.
"Siamo vittime dello scontro fra Oriente e Occidente, di un crudele gioco della geopolitica”, racconta a Strasburgo Svitlana Zalishchuk, fondatrice del movimento "Nuovo cittadino”, nel corso di un’audizione che ho l’incarico di organizzare al ritorno da Kiev in europarlamento per dar modo alla società civile ucraina di far sentire la propria voce evitando i soliti volti noti dei partiti di opposizione in crisi di credibilità. "Il settanta per cento della popolazione attiva è a favore della scelta europea -gli fa eco Juri Durkot, un altro degli oratori- ma abbiamo bisogno subito di gesti concreti di grande valore simbolico come, ad esempio, l’abolizione del visto di ingresso nell’Unione, spesso fonte di frustrazione e causa di snervanti e umilianti trafile burocratiche nei consolati europei”. Durante il breve soggiorno parlamentare c’è anche il tempo per gli ospiti di una fugace apparizione dimostrativa sulle tribune dell’emiciclo, con sventolio di stendardi giallo-blu, applaudita calorosamente, fra gli scranni, dagli eurodeputati, ma prontamente repressa dagli usceri. Per qualche ora la piazza ucraina ha fatto irruzione nell’europarlamento, ma la voce del Maidan non si placa richiamando le istituzioni europee a un atto di responsabilità che vada oltre i vacui e scontati messaggi di solidarietà.
"Revoluzia, revoluzia!”, rivoluzione, rivoluzione, è l’urlo del tassista che mi riporta dall’aeroporto in città dopo aver appreso che lavoro al parlamento europeo. Pensavo di aver concluso la parentesi ucraina, ma il rapido evolversi degli eventi mi obbliga a un precipitoso rientro a Kiev. è trascorsa solo una settimana ma, in effetti, quella che era una normale, sebbene massiccia, dimostrazione si è trasformata nel frattempo in vera rivolta con il centro della capitale completamente paralizzato. L’auto mi scarica alla prima barriera costringendomi a percorrere a piedi i cinquecento metri che mi separano dall’hotel. Via Kresciatyk, il corso principale che taglia il Maidan, è interrotta, occupata da un enorme accampamento protetto da barricate costituite da cumuli di neve pressata in sacchi, blocchi di cemento, pneumatici, pezzi di lamiera e bancali di legno accatastati alla rinfusa. Agli stretti varchi vigilano sui passanti improbabili guardiani che improvvisano uniformi di tuta mimetica di vario genere con corpetti luminescenti da soccorso stradale e copricapi di ogni tipo. Si passa dal casco da lavoro all’elmetto, dal berretto militare al semplice colbacco. L’obiettivo è quello di impedire l’accesso ai provocatori e alle forze dell’ordine che nei giorni precedenti avevano attaccato i manifestanti cercando con la forza di rimuovere gli ostacoli per ristabilire la normale circolazione del traffico urbano.
Mi faccio strada a fatica nella ressa riuscendo finalmente a raggiungere l’hotel che schiude le porte scorrevoli a una sala d’aspetto ovattata, immune dalla baraonda esterna.

"Il genio della democrazia e della libertà è uscito dalla lampada e sarà impossibile farlo rientrare”, sono le prime parole con cui ci accoglie l’ambasciatore Jan Tombinski nella nuova sede dell’Unione Europea, dove arriviamo in ritardo a causa dell’odissea nel traffico mattutino che spiazza anche il tassista. "Quello a cui assistiamo oggi nelle piazze è un eccezionale esperimento di costruzione di una nazione dal basso”, aggiunge, sottolineando come all’atto dello sgretolamento dell’Unione Sovietica l’Ucraina avesse ereditato uno stato ma non una identità nazionale. E a proposito dell’accordo di associazione con l’Unione rileva: "I negoziati con l’Europa sono stati condotti alla luce del sole, il testo del trattato è tutto sul tavolo e disponibile on line; dei negoziati con Mosca poco o nulla si sa, la vera posta in gioco rimane nascosta sotto al tavolo”.  Per quanto riguarda il quadro politico, Tombinski non si fa troppe illusioni: "Maggioranza e opposizione si conoscono troppo bene, ciascuna è al corrente dei trucchi elettorali dell’altra neutralizzandosi a vicenda”. Gli unici a uscire dagli schemi rompendo il gioco delle parti sono gli oligarchi, i veri protagonisti dell’economia del paese possessori di immense fortune scaturite durante l’opaco processo di privatizzazione dei primi anni Novanta. C’è chi, fra loro, opera in politica indirettamente agendo da burattinaio attraverso il controllo di ministri e deputati e chi lo fa direttamente scendendo in campo di persona. Petro Poroscenko, leader dell’industria dolciaria, fa parte di questi ultimi. La sua è una presa di posizione netta a favore dell’Europa. "Scommetto sulle dimissioni dell’attuale governo e sulla sua sostituzione con una compagine tecnica in grado, però, di dar vita a un programma politico”, esordisce. "In questo modo -afferma- potremo firmare l’accordo di associazione con l’Unione entro la prossima primavera”. "Se così fosse -continua- per Yanukovic alle elezioni presidenziali del 2015 non ci sarebbe scampo”. Per Poroscenko, infatti, la scelta europea implica la lotta alla corruzione e la fine dei brogli e con queste il capolinea della carriera politica dell’attuale presidente. E per quanto riguarda la corruzione circolano insistenti le voci di enormi ricchezze accumulate nel volgere di pochi mesi dal figlio. "Basterebbe che l’Unione congelasse i conti correnti presso le banche europee degli uomini legati al regime -azzarda qualcuno- e a Yanukovic verrebbe a mancare il terreno sotto i piedi”.
"Slava Ukraina”, lunga vita all’Ucraina, ripetono dal palco gli ospiti che si alternano nel Maidan con i manifestanti che rispondono: "Heroyam slava”, lunga vita agli eroi. Nel giro di pochi giorni la piazza ha cambiato aspetto. La postazione degli oratori è stata spostata sul lato opposto ed è stata sostituita da una grande struttura in legno più adatta alle manifestazioni di massa affiancata da enormi casse di amplificazione. Anche le insegne sono mutate: adesso campeggiano le immagini di Yulia Tymoscenko, che dalla prigione non cessa di inviare messaggi di sostegno ai dimostranti. C’è un grande viavai di persone filtrate da un efficiente servizio d’ordine davanti all’edificio prospiciente alla piazza che ospita la sede dei sindacati. è stato ribattezzato "casa della resistenza” poiché è divenuto il quartier generale della protesta in cui le forze di opposizione pianificano le azioni aggiornando regolarmente stampa e media. Nei piani più alti i corridoi sono intasati da sacchi a pelo in cui riposano gli attivisti che si danno il turno durante l’arco delle ventiquattr’ore. La sera scende presto nell’inverno di Kiev. Alle quattro e mezzo l’oscurità è già padrona del Maidan ma non cessa il formicolio attorno ai tendoni e agli stand affumicati dal fumo dei bivacchi dove paioli di fortuna su bidoni riconvertiti in forno a legna e cucine da campo sfornano in continuazione zuppe e bevande calde con snack di ogni tipo per la folla ingrossata dall’arrivo di chi ha appena terminato il lavoro. Ovunque cenere che con il nevischio inzuppa l’aria acre e pesante in un’atmosfera decadente e un po’ "dark” che mi ricorda "Blade runner”, meraviglioso film di fantascienza dove la ferraglia antiquata si sposa con la tecnologia avveniristica. è Ruslana, la pop-star più conosciuta di Ucraina, la vera regina della scena, colei che più di ogni altro ha dato un volto e una voce al Maidan. è lei che dal palco ha guidato i manifestanti calmando i più facinorosi durante gli attacchi delle forze dell’ordine. è lei, dalle sembianze minute e l’apparenza inoffensiva, a sprigionare un’inesauribile energia che galvanizza la piazza. Ed è sempre lei che conclude a mezzanotte la giornata di protesta accompagnando sul palco una quindicina di sacerdoti di tutte le confessioni che in abito talare, paramenti solenni e copricapi cerimoniali con la croce in mano intonano  preghiere e canti sacri con voce baritonale tra i cori sommessi e disciplinati della folla. Roba che mette i brividi solo a pensarci per l’intensità della partecipazione e il coinvolgimento emotivo.
Persa nella marea dei dimostranti c’è anche una giovane donna che alla testa di un piccolo gruppo brandisce un vessillo francese con sopra scritto: "Francia e rivoluzione”. Mi avvicino incuriosito pensando di incontrare una delegazione di cugini transalpini in trasferta, ma lei si presenta come ucraina chiedendomi a sua volta il perché della mia presenza in piazza. Oxana ha lavorato per anni a Strasburgo. Accompagna per l’occasione alcuni amici della capitale espatriati in Francia che sono tornati da Parigi per "fare la rivoluzione” e non mancare all’appuntamento con la storia del proprio paese. Ringrazia per il sostegno avuto dall’Europa. Abbozziamo una breve conversazione nella calca. Nell’apprendere che sono italiano mi fa presente che la versione ucraina di "Bella ciao”, che avevo ascoltato nelle ore precedenti sparata dagli altoparlanti al massimo volume, è ormai diventata l’inno della rivoluzione con gli ultimi emblematici e fatidici versi di ogni strofa che recitano: "...Viktor ciao, Viktor ciao, Viktor ciao, ciao, ciao” auspicando la rapida uscita di scena dell’attuale presidente. La convinco a cantarla al telefono in diretta su Radio Rai 2 durante la trasmissione Caterpillar, suscitando la commozione del conduttore. La voce del Maidan arriva forte e chiara anche per telefono.
Impossibile chiudere occhio in hotel tanto è il frastuono che vibra durante la notte sui vetri della stanza. Forse ha ragione Rebecca Harms quando afferma che il futuro dell’Europa si sta decidendo in Piazza Maidan. "Democrazia, diritti umani e stato di diritto, che sono i valori fondanti dell’Unione -sostiene- passano da Kiev”. Sono sempre state le crisi a definire l’Europa, prigioniera di meccanismi decisionali farraginosi e di veti incrociati che ne minano il funzionamento, salvo attenuarsi di fronte alle emergenze. E forse sarà la crisi ucraina a scuotere il torpore europeo determinando quell’assunzione di responsabilità, quell’assertività in politica estera, quella presa di coscienza del ruolo che compete all’Unione sullo scacchiere internazionale. Intanto, mentre mi avvio al check-in, uno sciame di contestatori colorati di giallo e blu attende davanti all’aeroporto Yanukovic in partenza per Mosca. Chissà se la voce del Maidan è arrivata fino là.