La politica estera americana ha visto un cambiamento qualitativo da quando Barack Obama è diventato presidente dopo George W. Bush. Ma non è tutto rose e fiori. In Libia e in Pakistan sono stati condotti centinaia di raid con droni che sono costati migliaia di vite. Guantanamo è ancora aperta. Rimangono forze armate in Afghanistan e Iraq -e (come nel 2011) più di mille basi americane sono presenti nel mondo. Senza perdere di vista lo spreco di risorse e di vite, bisogna però guardare al quadro generale. Gli attacchi preventivi non rappresentano più la prima opzione, il budget per la difesa è stato ridotto, l’azione militare in Siria è stata evitata, l’Iran non è stato bombardato e si parla meno di "asse del male” e di guerra al terrorismo -il tutto con il disappunto del governo israeliano guidato dal primo ministro Benjamin Nethanyahu. La sua politica di espansione delle colonie e l’arresto del processo di pace sono state apertamente criticate dal Presidente Obama che è detestato dagli israeliani più oltranzisti. La sua amministrazione non ha consegnato nelle mani degli israeliani un assegno in bianco e non ha offerto quel supporto acritico che veniva fornito dai responsabili dell’amministrazione Bush. Al momento è in discussione un "protocollo” per la pace che si concentra sul West Bank e sostiene una soluzione al conflitto israelo-palestinese basata sulla creazione di due stati.

Molti sosterranno, con ragione, che è troppo poco e troppo tardi. Le condanne Onu nei confronti di Israele vengono regolarmente bloccate col veto degli Stati Uniti, sono stati ritirati 60 milioni di dollari per l’Unesco nel 2011 quando la Palestina è stata ammessa all’organizzazione e l’amministrazione Obama continua a non voler riconoscere ufficialmente la Palestina in quanto stato nella sua forma attuale. Hamas viene ancora considerata un’organizzazione terroristica e la sua esclusione dall’attuale processo di pace lancia foschi presagi sui risultati. Inoltre il supporto militare americano a Israele in caso di un conflitto armato resta scontato. Secondo il Defense News (settimanale delle forze armate statunitense), uscito nell’agosto del 2013, il Congresso ha concesso a Israele aiuti militari pari a 3.175 miliardi di dollari in prestiti e finanziamenti all’anno fino al 2017. Questi vengono considerati soldi ben spesi. Rifacendosi alla logica della guerra fredda, quando Israele veniva considerato come un baluardo contro gli stati arabi e contro i movimenti di liberazione nazionale (presumibilmente comunisti) nel Medio Oriente, esiste ancora tra i politici liberal, come tra i conservatori negli Stati Uniti, la concezione per cui l’appoggio incondizionato a Israele è fondamentale per l’interesse nazionale.

Perché? Persistono sentimenti complessi di compassione e colpa riguardo l’Olocausto, continuamente rinforzati dai media americani. Che questo terribile evento venga continuamente manipolato dai politici israeliani viene ignorato e pochi americani conoscono il trauma (naqba) vissuto da più di 700.000 arabi espulsi dalla loro terra durante la guerra del 1947-1948 che ha portato alla nascita dello stato di Israele. Sopravvive ancora il mito sionista per cui Israele è nato su "una terra senza un popolo per un popolo senza terra”. Alcuni credono ancora negli stereotipi ideologici promossi da film quali "Exodus” o personaggi come Tevye il lattaio (protagonista di storielle Yiddish). Esiste un timore reale di un pogrom incombente che si suppone venga pianificato dai barbarici arabi ai confini. Ma Israele, fondato nel 1948, è una potenza coloniale da un tempo più che doppio rispetto a quello trascorso come piccolo stato. Si tratta di una potenza militare con un esercito sofisticato e una riserva stimata di 300-400 armi nucleari. L’economia israeliana non è ad alta intensità di lavoro ed è robusta. Eppure Israele è, senza dubbio, il maggior beneficiario degli aiuti militari americani, superando del doppio la cifra fornita all’Egitto, il secondo beneficiario. Molti giustificano questo fatto insistendo sul fatto che Israele è l’unico stato democratico nel Medio Oriente oppure, meglio, il solo stato non arabo e non islamico della regione. Ma si tratta di un’affermazione discutibile. La democrazia israeliana mostra somiglianze marcate con quella del Sud Africa durante l’apartheid -oppure con il sud degli Stati Uniti prima del movimento per i diritti civili. Il trattamento dei palestinesi da parte degli israeliani vie ...[continua]

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