Mi scuso innanzitutto per non poter essere stasera a questa commemorazione. La ragione è molto semplice: ho una moglie molto malata, che ha solo un bisogno, addormentarsi dicendo le preghiere con me ed essere svegliata da me. Quindi io non passo le notti fuori di casa.
Mi scuso, so bene che parlare di fronte a un microfono, da lontano, rende poco quando si parla di amici e quando si parla di cose in cui valgono i sentimenti, però questo è e questo dovete accettare. Ma sappiate che avrei tanto voluto essere con voi, perché per me Lamberto è stata una persona importante, come cercherò di spiegarvi. Apparentemente è stata un’amicizia, apparentemente è stato un collega di lavoro per qualche anno, apparentemente è stata una persona che colpiva chiunque gli stesse vicino e ha colpito anche me, perché aveva una personalità esattamente opposta alla mia: io son più spento, lui era sempre vivo, io son più lento, lui era velocissimo, io sono più opaco nel guardar le cose, lui capiva subito al volo. Eravamo diversi, ma questo non c’entra, l’amicizia è stato un elemento fondamentale, importante, anche perché non era soltanto un amico, era un amico che creava amicizie. Ricordo quando mi disse: "Ti devo far conoscere Sergio Zavoli”, e il giorno dopo stavamo tutti e tre a tavola insieme... Aveva una capacità straordinaria di legare le persone. Quello rimane: se io rivedo ancora oggi Zavoli, riandiamo al ricordo di Lamberto con grande tranquillità. Ma quel che è più importante non è il tipo di vita che ha condotto e che ci ha dato, quello che ci ha potuto dare in partecipazione. Io ho pensato molto alla morte di Lamberto. In fondo per me è stata la prima persona cara che è morta; quarant’anni fa non mi erano ancora morti i genitori, gli amici più cari. Lamberto è stato il primo, e quindi è stato quello su cui ho riflettuto di più, sul significato della vita, e su cui rifletto ancora oggi. Lui aveva scritto negli ultimi tempi questo bellissimo libro, "Vincerà la vita”, che è proprio il segno e la cronaca di un’agonia, diciamo pure di un declino, ma con quel volontarismo, con quella cocciutaggine, con quella voglia di non darla vinta che certamente lui aveva in maniera particolare. L’avevo già vista quando lavoravamo insieme col Ministro Misasi, dal ’69 al ’72, l’avevo vista in tutte le occasioni di lavoro, avevo visto questa cocciutaggine, questa forza, questa vita, "Metto vita, ci metto vitalità, ci metto tutto”. Anche nella lotta contro la malattia, tranne le ultime tragiche settimane, ha avuto questo senso di vita, di metterci vita, di metterci il vigore. Però quello che ci rimane non è il "vincerà la vita” fisica, perché poi lui è stato sconfitto in quella battaglia per la vita fisica, è "vincerà la vita” perché vince un modo di essere che resta nelle persone che rimangono. In me di Lamberto rimane non soltanto l’amicizia, la vitalità, l’allegria, la compagnoneria, ma il fatto che lui aveva dentro vita. E la trasmetteva. La vita non è un puro fatto fisico, è quello che resta nelle persone quando tu muori. Di lui, in noi, in chi l’ha conosciuto in particolare, resta il fatto che è stato un testimone di vita: anche nell’agonia, anche nella morte, è stato un testimone di vita. Tutti noi abbiamo bisogno di avere vita dentro, di avere speranza di vita dentro, di non pensare alla morte come conclusione di una storia personale; la morte è un elemento di una storia di vita che può continuare, continua in tutti coloro che ti hanno voluto bene fin quando vivranno loro. Ecco, nel momento in cui fra me e Lamberto, fra Lamberto e gli amici, fra la famiglia e gli amici, è scoccata questa scintilla di vita, questa rimane, rimane come se ci fosse stato un infinitesimo momento e progresso della vita collettiva. È come se la noosfera, cioè la sfera collettiva della conoscenza e della coscienza umana, sia aumentata. Sono piccole cose, milligrammi di crescita collettiva, però in tutti noi che abbiamo conosciuto Lamberto c’è stato questo elemento fondamentale. Abbiamo perso un amico, abbiamo perso la vitalità del lavorare insieme, abbiamo perso l’allegria del trovarsi al ristorante o in casa, ma abbiamo guadagnato, abbiamo mantenuto, conservato, la cosa più importante: questa vitalità profonda che ci ha donato. C’è un pezzo del salmo, credo l’83, che dice: "Vanno con vigore sempre crescente fino a comparire innanzi a Dio in Sion”. Anche nella feroce lotta degli ultimi giorni contro il male lui aveva dentro di sé questo vigore esistenziale, questo vigore cosmico, che aveva avuto dal Signore, che lui ci ha trasmesso.
Il fatto di continuare oggi, dopo quarant’anni, dopo tante esperienze di vita, dopo tanti problemi personali, il fatto di continuare ogni sera a rimettermi, alla fine dei miei morti, a Lamberto, ha questo senso, non di un ricordo umano, ma di un riconoscimento esistenziale di quanto lui abbia testimoniato che c’è la vita anche oltre la morte.
Giuseppe De Rita ricorda Lamberto Valli nel quarantennale della morte
in memoria
Una Città n° 213 / 2014 maggio
Articolo di Giuseppe De Rita
RICORDIAMO LAMBERTO VALLI - Il ricordo di Giuseppe De Rita
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Archivio
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