Stephen Eric Bronner è Distinguished Professor alla Rutgers University. Questo articolo è un estratto da un capitolo della sua prossima opera: Moments of Decision: Political History and the Crises of Radicalism, Bloomsbury.

Le date possono essere ingannevoli. Il Ventesimo secolo non è iniziato esattamente nel 1900, bensì il 28 giugno 1914 con l’omicidio dell’Arciduca Francesco Ferdinando d’Austria e di sua moglie per mano di un nazionalista serbo. Questo evento ha acceso la miccia delle mobilitazioni culminate con lo scoppio della Seconda guerra mondiale. Il conflitto viene spesso descritto come prodotto di una strategia realista, ma in realtà il suo obiettivo iniziale non è mai stato chiaro.
Ciononostante, durante la guerra 37 milioni di soldati rimasero uccisi o mutilati, quattro imperi furono sbriciolati e, come Karl Marx e molti dei suoi discepoli avevano predetto, la rivoluzione sorse come una fenice dalle ceneri della crisi, portando con sé sia la democrazia che la dittatura.
La "Grande guerra” del 1914 rappresenta il culmine delle politiche imperialiste delle "grandi potenze” dalla sconfitta di Napoleone. I suoi architetti furono diplomatici di vecchia scuola che avevano appreso il loro mestiere alla luce di figure leggendarie come Andrassy, Bismarck, Cavour, Disraeli e Gorchakov. Nessuno di loro era all’altezza di questi maestri: nessuno era capace di subordinare determinati interessi nazionali a una politica collettiva volta ad allontanare le possibilità di una guerra. Le varie nazioni furono portate sul piede di guerra da un rigido sistema di alleanze gestito da uomini appartenenti ormai a un’epoca passata, condito in più di vecchi contrasti irrisolti, che le coinvolse di nuovo in un gigantesco "gioco del coniglio”. Per tutti i diplomatici il 1914 era paragonabile alla guerra franco-prussiana del 1870-’71, ultimo conflitto europeo in ordine di tempo, durato solo sei mesi. La lunga pace che ne seguì fu segnata da rancori tra le nazioni e dal diffondersi di un’idea della guerra sempre più romantica.
Gli anni che portarono alla Prima guerra mondiale furono dominati da una cieca fede nella politica dell’equilibrio e nella ragion di stato. Con la certezza che ogni nazione minacciasse la libertà delle altre, le grandi potenze praticavano apertamente l’imperialismo e consideravano un proprio diritto intervenire negli affari degli stati minori. Durante i 40 anni che precedettero la Prima guerra mondiale, infatti, sono stati annessi ai possedimenti delle grandi potenze europee quasi 15.000 chilometri quadrati di territori, e tutto ciò si riflette ancora sulla politica contemporanea di Africa, Asia e Medio Oriente.
Le intimidazioni militari da parte di Inghilterra, Francia e Germania iniziarono con la crisi di Algeciras e con la conseguente contesa del Marocco nel 1906. Continuarono poi durante il conflitto in Bosnia del 1908-’09, con la guerra italo-turca del 1911 e con le Guerre balcaniche del 1912-’13. Osservando gli eventi di questo periodo, molti iniziarono a credere nell’inevitabilità di una guerra generale. Il timore di possibili lotte di classe interne, per di più, aumentava la sensazione di debolezza di ogni nazione rispetto alle altre. In Francia le classi al potere guardavano con preoccupazione ai conflitti causati dal caso Dreyfus, che sembrava non concludersi mai, e alla nuova ondata di attivismo sindacale, che interessò gli anni dal 1906 al 1910. In Russia l’aristocrazia era presa dal panico a causa della ventata di rivoluzione portata dallo sciopero di massa del 1905, che Trotsky chiamò più tardi la "prova generale” per la rivoluzione del 1917. Contemporaneamente anche l’Impero austro-ungarico, la Germania e l’Italia vedevano una forte crescita del movimento socialista, e un’ondata di scioperi stava investendo tutta l’Europa. Mentre la classe operaia guadagnava potere politico, i movimenti imperialisti e xenofobi associati al "fardello dell’uomo bianco”, al pan-slavismo, alla questione della razza e alla conquista dello "spazio vitale” (Lebensraum) acquistavano sempre più consensi tra le grandi potenze. La politica estera non rispecchiava perfettamente le tensioni interne, ma non ne era completamente svincolata: gli avvenimenti internazionali erano direttamente influenzati dalle rispettive politiche interne e viceversa. In altre parole, competizione tra stati e lotta di classe si fomentavano a vicenda. Le classi medio-alte si portavano dietro dei pregiudizi risalenti alla ...[continua]

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