Non sempre i sopralluoghi delle delegazioni parlamentari sono utili per farsi un quadro fedele della situazione. Quelli ufficiali, ad esempio, rischiano spesso di essere controproducenti passando per i canali governativi, con le autorità del posto intente a filtrare o manipolare le notizie mostrando solo dettagli funzionali ai propri interessi. Ecco perché durante le missioni è sempre consigliabile muoversi autonomamente se si vuole davvero raccogliere informazioni di prima mano che riflettono la situazione reale sul campo. Nel nostro caso avevamo affidato il compito di accompagnarci nella zona di combattimento agli amici della società civile di Kharkiv, escludendo deliberatamente ministeri e amministrazioni competenti. L’appuntamento è di prima mattina alle porte della città, sull’arteria principale che porta verso Donetsk. Direzione Donbass. Equipaggio 1: Roman, Volodja, Rebecca e Kyryl su un comodo Suv giapponese (noblesse oblige per gli eurodeputati); equipaggio 2: Sasha, Dima, Natalia e il sottoscritto su uno squinternato furgone tedesco dai sedili instabili e traballanti che in qualsiasi altro paese europeo non avrebbe mai passato la revisione. Meta: Sloviansk e, se possibile, Artemovsk. Il nostro lasciapassare è Volodja, nome di battesimo Vladimir. Leader dell’auto-Majdan a Kiev (i caroselli di automobili che inseguivano e infastidivano pacificamente gli esponenti di spicco del vecchio regime), Volodja è uno strano personaggio con una difficile storia alle spalle. Armeno di origine, reduce della guerra in Nagorno-Karabakh, è arrivato in Ucraina, agli inizi degli anni Novanta, dove ha messo radici e ha costruito la sua seconda vita acquisendone la cittadinanza. Da aprile, quando è iniziato il conflitto, si è trasferito nelle regioni orientali mettendo in piedi una rete di assistenza agli sfollati, in particolare donne e bambini, in fuga dalle zone di combattimento. Spesso, però, supplisce anche alle carenze logistiche dell’esercito rifornendo, come volontario, di generi di prima necessità i soldati nei presidi sparsi sul territorio. Nessuna sorpresa, quindi, se sono costretto a viaggiare fra pile di contenitori di acqua, stecche di sigarette, cocomeri, meloni, pacchi di caffè e perfino creme protettive anti-sole che Volodja distribuisce ai commilitoni di ogni check-point che incontriamo mano a mano che ci avviciniamo all’area di conflitto.
Poco più di 200 km separano dalla guerra Kharkiv, la seconda città dell’Ucraina, con sterminati campi di girasole su entrambi i lati della strada. "È la bandiera del mio paese”, mi fa notare Dima, indicandomi, con un certo orgoglio, dal finestrino dell’auto che corre veloce, la striscia di giallo intenso dei grandi fiori che sconfina all’orizzonte con l’azzurro brillante del cielo. Sloviansk, una delle prime roccaforti dei separatisti filo-russi, è stata liberata da pochi giorni. A parte qualche inevitabile foro di kalashnikov su alcuni edifici e un paio di tetti sfondati dai colpi di artiglieria, non porta segni diffusi di combattimento. Decidiamo quindi di spingerci oltre, a ridosso della linea del fronte. In prossimità di Artemovsk il tradizionale biglietto da visita della guerra non ha bisogno di ulteriori elementi: case distrutte, insegne abbattute, blindati bruciati, detriti di mattone e di metallo con schegge di granata sparsi ovunque sulla strada. In città, però, all’apparenza la vita sembra aver ripreso il suo corso con la gente che passeggia tranquilla alla ricerca di generi di prima necessità.
In un piccolo condominio di un’area residenziale si trova il quartiere generale del Battaglione Donbass, costituito da volontari accorsi da tutto il paese per dare man forte all’esercito regolare. Si tratta di gente di ogni età con storie e provenienze di vario genere. Vladimir, per esempio, poco più di trent’anni di età, viveva da 12 anni a San Pietroburgo, ma allo scoppio del conflitto si è sentito in dovere di tornare per difendere la patria. "Dalla Russia vogliamo solo turisti e amici”, mi racconta in un inglese stentato, "Putin fa il doppio gioco perché da una parte invoca la pace ma dall’altra fornisce le armi ai separatisti per ricostruire l’Unione Sovietica”. Un altro commilitone si aggiunge denunciando il tradimento di Mosca, rea di avere violato il trattato di Budapest del 1994, con cui si impegnava a rispettare l’integrità territoriale dell’Ucraina. Un altro ancora lamenta l’indifferenza dell’Europa, capa ...[continua]
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