L’idea dell’associazione Vicini di casa viene a un gruppo di persone che si incontra in una parrocchia alla periferia nordovest di Udine. Potete raccontarmi la storia di questo posto?
Gri. Nel ‘17 alla periferia di Udine era scoppiata una polveriera e centinaia di famiglie erano rimaste senza casa, così, fra le due guerre, il comune ha costruito qui una sorta di villaggio per le famiglie ancora prive di sistemazione, le più povere. Questo è stato fin dall’inizio un quartiere di manovali e operai dei vicini cotonifici Nel ‘44 è arrivato un parroco che era responsabile della resistenza cattolica, don Emilio De Roia, che nel dopoguerra ha costruito una serie di iniziative, ad esempio le scuole professionali per i ragazzi o il primo nucleo della Caritas, fondato durante il terremoto del ‘76 per la gestione degli aiuti. Poi San Domenico è divenuto un quartiere residenziale e vicino all’antico insediamento sono comparse le villette a schiera. Intanto arrivavano i primi immigrati e don Emilio ha aperto loro il suo istituto. Nell’80-’81 siamo nati noi come parrocchia di San Domenico, con l’intento di fare da raccordo tra il vecchio insediamento e il nuovo quartiere. Ai tempi di Comiso avevamo conosciuto padre Ernesto Balducci, ma eravamo in contatto anche con altre comunità cristiane e con loro, dal 1982, abbiamo organizzato i convegni di Zuliano nel nome (e ora in ricordo) di Balducci. Inizialmente si discuteva di pacifismo, poi c’è stato un passaggio automatico ai temi dell’immigrazione e dell’interculturalità.
Che caratteristiche ha l’immigrazione in questa zona?
G. In Friuli c’è stato il grosso problema dell’immigrazione dalla ex-Jugoslavia, massiccia e non solo di passaggio, qui infatti ci sono alcuni poli industriali sviluppati che richiamano manodopera. Ma riguardo alla provenienza c’è un po’ di tutto, le comunità più numerose sono quella albanese e la ghanese.
Petrucco. Ogni comunità ha le sue specializzazioni, i ghanesi ad esempio lavorano in fabbrica. C’è anche una localizzazione precisa delle diverse etnie, a Monfalcone ci sono soprattutto croati e cingalesi.
G. Sui cingalesi stiamo facendo una tesi di laurea. Sono una comunità molto ampia e molto chiusa, come quella cinese. Lavorano tutti nella costruzione delle navi e il fatto interessante è che fra loro succede qualcosa di simile a quello che succedeva coi cadetti nel medioevo, il primogenito di queste famiglie molto numerose resta a casa, gli altri, quelli che, anche a causa della modernizzazione dell’agricoltura, risultano in sovrappiù, vengono mandati all’estero per fare fortuna. Tra l’altro sono tutti ragazzi di buon livello, ma molto difficilmente integrabili perché sono ancora nella fase di disponibilità a qualsiasi opzione, restano qui finché c’è lavoro, poi si vedrà. La tesi partiva da un interesse linguistico, volevamo capire che lingua si parla nelle fabbriche friulane, perché l’entrata in vigore nel 2001 della legge per la tutela delle minoranze linguistiche aveva innescato un dibattito sulla possibilità di inserire il friulano nella scuola, riaprendo la questione del suo statuto linguistico. Mentre si discuteva di questo abbiamo scoperto che nella nostra regione si parlano 60 lingue, che poi è lo stesso numero di quelle dei taxisti di New York, mentre solo a Francoforte ne hanno contate 120 o 130. Comunque 60 lingue per il Friuli non ci paiono poche, allora volevamo capire che strani calderoni linguistici si formano nei cantieri e nelle fabbriche.
Come comunità parrocchiale vi limitavate all’accoglienza?
P. No, già all’inizio eravamo partiti con l’idea della casa. Erano i primi anni ‘90 (l’associazione sarebbe nata nel ‘93) e la discussione si intrecciava con la questione delle latterie.
G. In Friuli ogni paese aveva la sua latteria sociale cooperativa, erede della vecchia esperienza cooperativa cattolica e socialista di fine ‘800, inizi ‘900. Qui esisteva una tradizione socialista riformatrice molto importante, che si alimentava delle esperienze cooperative del socialismo democratico tedesco conosciute attraverso l’emigrazione e importate in tutta l’area della montagna friulana. Inoltre c’era un clero molto radicato e popolare, che ha sempre affrontato di petto le grandi questioni s ...[continua]
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