Uno spazio del silenzio
Rita. All’inizio spesso ci troviamo davanti un ragazzo bloccato, incapace di esternare emozioni e pensieri, che ha paura di sbagliare il tratto o la stesura del colore, inibito dai prodotti di altri che gli sembrano più belli dei suoi. L’insicurezza nata davanti ad un foglio bianco che non riesce a rimandargli quello che lui ha in mente cresce a dismisura, e spesso diventa un muro che impedisce la visione della realtà.
Bisogna imparare a scoprire gli strumenti e le tecniche che permettono di superare il fatidico grido “nun ‘o saccio fa !!!”. Il ragazzo bloccato cade nel panico inizialmente anche per reggere la matita o il pennello; continuamente chiama, richiede attenzione immediata, non vuole aspettare ma risolvere subito, oppure rinuncia perché nella sua mente c’è un’immagine da realizzare ma la sua mano è insicura... Occorre trovare per ognuno una tecnica rassicurante, guidare la mano del ragazzo per indirizzare la linea della matita o dare la giusta inclinazione al pennello, incoraggiare i minimi risultati, dare libertà di scelta del soggetto da interpretare: così si comincia a costruire un minimo di sicurezza, o almeno la consapevolezza di poter fare una scelta. Nelle prime fasi trovo interessante fare uso di forbici e colla per montaggi liberi di illustrazioni tratte da riviste; i ragazzi dopo aver realizzato il montaggio-collage danno un titolo o commentano i colori, il tema scelto.
E’ una tecnica semplice che rassicura perché, pur basandosi solo sulla scelta, questa è determinante per l’effetto finale; dà la possibilità di lavorare tutti insieme; durante il lavoro si può parlare senza l’assillo dell’insicurezza tecnica. Riesce inoltre a rendere l’idea del piano di fondo e dei vari piani dati dalle immagini sovrapposte.
In seguito cerco di offrire un ventaglio di tecniche che dia loro ancora una volta la possibilità di scegliere, in modo che ogni ragazzo trovi la sua via. Ma la cosa più importante per fargli acquistare fiducia in se stesso è che quelli che lo circondano credano veramente in lui, perché ha bisogno di sincerità e avverte l’ipocrisia.
Caroline. A volte ricordano i bambini di due-tre anni, che anche se non ti vedono ti devono sempre seguire con la voce. C’è poi da dire che dieci-dodici ragazzi tutti insieme forse sono troppi perché pongono problemi, sono molto esigenti, vogliono il contatto, ciascuno di loro ti vuole vicino, li devi toccare, gli devi dare il pennello.
Io parto sempre dando delle direttive molto semplici, come mettere i colori... All’inizio li aiuto molto, mi siedo accanto a loro e gli mostro come faccio; poi gli prendo la mano, “non avere paura, vai, tu disegni io ti seguo”; con le parole seguo il loro tratto “gira, scendi, piano piano”. Per fare questo devi avere pochi ragazzi; se il gruppo è troppo numeroso, tu puoi seguirne tre o quattro: o ti interessi dei più bravi o dei più inguaiati, ma in ogni caso non è giusto. Se ogni tanto avessi potuto sedermi dieci minuti accanto a una ragazza, questi dieci minuti sarebbero stati fondamentali, perché se non li prendi vanno via e non li riacchiappi più. La ragazza depressa che ha dipinto quel grande cesto di fiori alla fine è fiorita, ma perché io l’avevo presa di mira, mi sono concentrata su di lei: era angosciante vedere una ragazza giovane così sprovvista, anche se era tranquilla; quando ricevi l’aggressività in faccia è più difficile. Se avessi avuto più tempo… Ho perso tantissime occasioni.
Rita. Per scoprire la strada più adatta a ciascuno di loro non è sufficiente offrire la tecnica più rassicurante: bisogna avere le antenne sempre orientate a cogliere, a intuire i desideri, le curiosità, espressi magari inconsapevolmente dai ragazzi: ogni momento è buono per capta ...[continua]
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