Com’è nata l’esperienza del laboratorio che stai seguendo?
Caroline. Da ottobre tengo questo laboratorio con un gruppo a cui partecipano alcune persone autistiche di età compresa tra i 13 e i 34 anni. L’idea è divertirsi insieme, però ci tengo a precisare che non faccio arte-terapia; faccio arte! Se poi l’arte fa bene, tanto meglio per tutti, ma non sono una terapeuta; anche se ho studiato analisi e frequento molto la scuola lacaniana di Roma non mi metto a fare ciò che non so.
Non è la mia prima esperienza: di laboratori artistici ne ho fatti diversi, tra cui uno in una scuola materna. È cominciato tutto da lì. Sei anni fa, due mamme di bambini che avevano lavorato con me per tre anni mi sono venute a parlare di loro fratello, Luigi, che è autistico: "Ha fatto il liceo artistico... Lavoreresti con lui?”. Avevano visto come lavoravo con i bambini, senza imporre un modello, e si erano incuriosite.
È una cosa cui tengo. Spesso l’adulto che lavora coi bambini ha un’idea di disegno e il bambino "riempie”. Credo sia un modo un po’ narcisistico di lavorare, utilizzando i bambini come manovali del proprio progetto. Se si va a vedere la produzione che fanno fare nei licei -artistici e non- spesso è desolante, stereotipata, priva di interesse.
Insomma, ho accettato, e Luigi ha cominciato a venire da me una volta alla settimana per dipingere. Ormai è il quinto anno che viene, e l’ho aiutato a organizzare due mostre. Quando abbiamo iniziato ricordo che c’era un progetto del Comune, uno di quei progetti deliranti del tipo: "Mettiamo gli autistici e i ‘delinquenti’ insieme”. Ci sono andata e mi sono divertita tanto. Siamo riusciti a fare qualcosa, intorno a quel tavolo c’era un clima gioioso... Però là ho visto anche delle cose tremende. C’erano due o tre ragazzi autistici che avevano con sé una corda con attaccate delle parole: mangiare, uscire, andare in bagno... Loro comunicavano con quelle.
Per le necessità primarie...
Caroline. Una cosa rivoltante. E allora ho pensato: "Questo non lo voglio”. Dobbiamo trovare noi il modo di entrare in contatto con loro, non viceversa. Un altro ragazzo autistico, Ariel, aveva assistito alla mostra che abbiamo realizzato nel 2013 con Luigi alle Scalze, dove ora teniamo il laboratorio. Gli erano piaciute le sue opere e aveva detto: "Voglio dipingere come Luigi!”. Allora la madre mi ha cercato, e anche Ariel ha cominciato a venire a casa mia.
L’ha proprio detto...
Caroline. Ogni tanto parla, anche se spesso hai l’illusione che discuta, che parli, ma non fa che imitare una conversazione. Quando scrive, però, scrive cose bellissime. Per esempio, è andato a vedere una mostra di Matisse e dopo ha scritto delle cose di un’acutezza...
Grazia. La madre di Ariel, Cinzia, insegna in un liceo artistico e aveva girato un po’ di scuole alla ricerca di ragazzi seguiti dal sostegno che coltivavano la passione per il disegno e la pittura, trovandone dodici. Siccome lei abita più o meno nei pressi della chiesa delle Scalze ci eravamo conosciute. Parlando con me, era rimasta sorpresa: "Ma perché sai tutte queste cose sull’autismo? Hai un figlio anche tu che...”. In realtà mi sono appassionata al tema dopo che anni fa avevo studiato per un concorso e mi ero soffermata sull’argomento, leggendo molte cose. Cinzia mi ha parlato di questa sua ricerca e, senza neanche conoscerci bene, abbiamo pensato di allestire una mostra con i lavori di quei ragazzi.
Caroline. Ma abbiamo preso i disegni che i ragazzi avevano fatto per loro, non il soggetto imposto dall’insegnante, che non aveva alcun interesse.
Grazia. Abbiamo organizzato la mostra e anche dei momenti di lettura, con testi scritti da autistici e brani da libri-testimonianza sull’autismo, come quello del giornalista Gianluca Nicoletti, che ha un figlio autistico. Da lì, anche con le sorelle di Luigi, alla fine siamo riusciti a riunire un bel gruppo.
Caroline. Dopo la mostra abbiamo pensato così di costruire un laboratorio, un momento d’incontro un mercoledì al mese, dalle sei del pomeriggio all ...[continua]
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