storie, internazionalismo
Una Città n° 23 / 1993 Giugno
Intervista a anonimo
Realizzata da Massimo Tesei
I VICINI CHE SI VERGOGNAVANO
Quando hanno cominciato a parlare piano fra di loro. Dopo pochi mesi la città era distrutta. I rastrellamenti e i saccheggi. Le sfilate dei funzionari Onu di fronte a porte aperte dai carcerieri per l’occasione. Intervista a una donna mussulmana di Mostar.
Sono di Mostar e ho 30 anni. Sono musulmana, anche se preferisco dire bosniaca, perché in Europa appena dici musulmana la gente pensa ad un’origine turca o mediorientale. La mia famiglia è di Mostar almeno dal 170Q. Non sono mai stata religiosa. Mio padre era membro del partito comunista, mia madre era più o meno credente, proveniva da una famiglia religiosa, o meglio una famiglia in cui era sviluppato il concetto, il desiderio dell’identità nazionale bosniaca. Infatti, durante il regime comunista, questo forse non tutti lo sanno, non esisteva una identità per i musulmani: in Bosnia bisognava dichiararsi Serbi o Croati. Naturalmente, devo ripetere questa cosa che dico sempre: non c’è nessuna differenza visibile, nessuno potrebbe mai riconoscere un serbo da un croato o da un bosniaco. Quando sono stata in Germania, prima di tutto credevano che fossi tedesca, essendo alta, bionda e con gli occhi azzurri e poi non volevano assolutamente credere che fossi musulmana! Per convincerli recitavo una preghiera in arabo che mi aveva insegnato mia nonna e di cui non capivo niente neanch’io, conoscevo solo a memoria le parole. Avevo amiche serbe e croate con cui viaggiavo e trascorrevo le vacanze e non esisteva mai un discorso che riguardasse il problema etnico o religioso. Posso dire che fra i croati c’era qualche giovane che andava in chiesa, fra i serbi un po’ di meno e fra i musulmani ancora meno. Per quello che mi riguarda ho visitato molto più spesso le chiese cattoliche che le moschee. Per quanto riguarda Mostar posso dire con sicurezza che il problema della religione non era assolutamente un problema, non esisteva proprio che ci fossero delle discussioni, delle differenze, delle divisioni su base religiosa. Vorrei che la gente capisse questo. E anche oggi, nonostante tutto quello che sta succedendo, so che è ancora molta la gente che non è cambiata, che non sta dando importanza alla religione per dividere le persone in buoni e cattivi, in amici e nemici. Il fondamentalismo islamico non esiste nel modo più assoluto, non si sa nemmeno cos’è nella comunità musulmana, anche se credo che in molti stiano facendo di tutto per farlo nascere, per poter dire che i musulmani minacciano la civiltà europea. Si può dire che c’è una differenza, credo come in tutto il mondo, fra le campagne e le città: i contadini tengono di più alla religione e nei villaggi in campagna c’è più omogeneità, meno mescolanza. A Mostar c’erano moltissimi matrimoni misti e ci sono oggi tante persone che non sono proprio in grado di dire cosa sono. Il problema è che quando nasce, o rinasce, un nazionalismo, il primo effetto è che ne nasce subito un altro e poi un altro ancora. In Bosnia hanno cominciato i serbi, poi i croati e alla fine i musulmani. E’ stato tutto molto veloce. Alle ultime elezioni, appena tre anni fa, io ho votato per il capo di un partito riformista che era croato. Già allora il nazionalismo cominciava a essere importante, tanto è vero che questo politico non piaceva a Milosevic perché era croato e non piaceva ai leaders croati perché non era abbastanza nazionalista. E infatti poi vinsero le elezioni i partiti nazionalisti, quelli che si stavano organizzando su base etnica e non in base alle idee. E questo è accaduto soprattutto nelle campagne. Sono bastate poche migliaia di persone, nazionaliste fanatiche, a creare quella paura che è stata la base di tutto e che ha costretto tutti gli altri a schierarsi, a dire se erano serbi o croati o bosniaci. Ripeto, questo è successo soprattutto nelle campagne, perché in città c’erano i matrimoni misti, c’erano le amicizie miste, c’erano i condomini misti, c’erano i posti di lavoro misti.
A Mostar i primi segnali concreti sono venuti dai serbi, che nei posti di lavoro chiacchieravano sempre più spesso fra di loro, in piccoli gruppi e sembrava proprio che gli altri non dovessero sentire cosa dicessero. La prima spaccatura si è avuta con l’arrivo dell’esercito federale, che però non era più l’esercito di tutti perché ormai c’erano solo serbi. Ecco, in quell’occasione i serbi dicevano che era giusto che l’esercito venisse a proteggerci. Proteggerci da chi? Da chi bisognava proteggere l’aeroporto? E le colline? In pratica Mostar è stata circondata e occupata. Di giorno in giorno è aumentata la paura. Di sera nessuno usciva dopo le 8, perché con questi soldati ogni tanto nascevano incidenti, erano a volte ubriachi o davano fastidio alle donne. Questi soldati non erano serbi bosniaci,
...[continua]
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