Il tuo libro comincia con l’affermazione che gli Stati Uniti, lungi dall’essere una soluzione, stanno diventando un problema per il mondo. E tuttavia precisi subito di non parlare dal versante dell’antiamericanismo classico…
Fino a due anni fa sarei stato collocato tra i filoamericani; in Francia ero molto noto per le mie posizioni contro il trattato di Maastricht; non ero un buon europeo. Io amo l’Europa, ma dopo il collasso dell’Unione Sovietica, avevo una visione molto positiva degli Stati Uniti e non vedevo ragioni per stabilire un contropotere rispetto agli Usa.
Del resto, essendo un pragmatico, non interessato alle ideologie, ma alla storia così com’è e non a come dovrebbe essere, non posso non constatare che oggi l’America sta cambiando, e stanno cambiando anche i suoi rapporti col mondo.
E tuttavia trovo che l’immagine che gli antiamericani classici hanno di un’America il cui unico problema sarebbe un eccesso di potenza, non possa essere di alcuna utilità per comprendere la complessità del momento. Mi sembrano decisamente più illuminanti le analisi prodotte dall’establishment americano.
Credo, anzi, che proprio se si parte dal riconoscimento del ruolo positivo svolto in passato dall’America, soprattutto nel porsi a difesa della democrazia, possiamo percepire nella debita misura quanto oggi l’America stia diventando un fattore di disordine e di costante minaccia, anche sul piano degli interventi militari, con quello che ho definito un “militarismo teatrale”.
La spiegazione di questo fenomeno riguarda diversi livelli, ma il primo è sicuramente economico. Il deficit commerciale americano è ormai elemento strutturale dell’economia mondiale. Per riequilibrare i suoi conti esteri, oggi l’America necessita di 1,5 miliardi di dollari al giorno. Gli Stati Uniti non possono più vivere della loro produzione. Da qui si capisce come il loro rapporto col mondo stia inevitabilmente cambiando: il vecchio mondo, l’Europa non ha più bisogno dell’America, mentre l’America sempre più ha bisogno dei beni prodotti nel mondo.
L’inversione del rapporto di dipendenza economica è uno dei due fattori che permettono di spiegare lo strano comportamento degli Stati Uniti. Questi interventi contro piccole dittature sembrano sempre più un triste tentativo di mostrarsi ancora un’entità indispensabile al mondo. Forse lo stesso protrarsi del conflitto israelo-palestinese rientra in questa strategia.
Il secondo fattore riguarda la constatazione che il pianeta sta comunque andando verso una situazione di stabilità. La democrazia, o comunque un maggior benessere, si sta espandendo rendendo la superpotenza non solo dipendente dal punto di vista economico, ma inutile sul piano politico.
Francis Fukuyama, a mio avviso, ha segnalato due elementi importanti, quando dopo il crollo dell’Urss ha scritto La fine della storia. Il primo è che la diffusione della democrazia su scala globale sta diventando una possibilità reale. E questo non solo in seguito al crollo del comunismo; c’era già stato il crollo dei vari fascismi e totalitarismi in Spagna, Portogallo, America Latina… per cui c’era già un fenomeno generale in atto. Se aggiungiamo all’universalizzazione della democrazia liberale, l’impossibilità della guerra tra democrazie (come sostiene Michael Doyle) otteniamo, come risultato, un pianeta in cui vige una pace perpetua, e dove gli Stati Uniti diventano inutili come potenza militare.
L’America infatti aveva sviluppato una sorta di specializzazione nella difesa della democrazia, prima nella lotta contro il nazismo, e poi contro il comunismo.
Questo in realtà non rappresenterebbe una minaccia se l’America si accontentasse di rimanere una normale democrazia.
Purtroppo, ed è il secondo nodo problematico individuato da Fukuyama, in questa progressiva diffusione della democrazia, proprio la democrazia americana sta subendo un processo di ridimensionamento, con il rischio del rafforzarsi di strutture oligarchiche al suo interno; negli ultimi vent’anni in America le disuguaglianze sono diventate formidabili; i movimenti democratici, i sindacati si sono molto indeboliti.
Le strutture familiari, antropologiche, il modo in cui i genitori trattano i figli, sono una chiave di lettura costante nei tuoi studi. Sembra che anche questa ...[continua]
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