Lei si occupa dell’immigrazione a partire dallo studio dei costumi e in particolare delle strutture familiari. Ce ne può parlare?
Paradossalmente, la conclusione alla quale arrivo, o meglio l’ipotesi che formulo, in base a ricerche sulle strutture familiari, è la seguente: ciò che in modo assolutamente determinante decide del tipo di rapporto che si crea fra gli immigrati e la società che li accoglie, che decide, cioè, se gli immigrati saranno assimilati, segregati o altro, non dipende affatto dalla cultura degli immigrati e nemmeno dalla distanza o dall’antagonismo che può esserci fra la cultura degli immigrati e la cultura del paese di accoglienza. E’ qualcosa che preesiste al contatto, che appartiene alla cultura della società di accoglienza. E’ qualcosa che ha a che fare con le strutture mentali della società, una sorta, se così posso dire, di inconscio collettivo; insomma, qualcosa che preesiste al rapporto interetnico e che permette di comprendere la ragione per cui vi sono società a priori "universaliste" o "differenzialiste".
Una società differenzialista è una società nella quale preesiste la concezione dell’esistenza di differenze fra gli uomini, che si perpetuano perché riproducibili. Inevitabilmente, la pura e semplice logica mostra che dietro l’idea di una riproducibilità degli uomini e delle loro differenze si annida una nozione biologica: il differenzialismo rinvia sempre a una certa forma di razzismo, quali che siano gli artifici intellettuali che si mettono in campo. Si può parlare di rispetto della differenza, ma se la differenza diviene eterna, se essa è riprodotta dalle relazioni sessuali e dalla nascita di bambini, la differenza in questione diventa una differenza razziale. Dunque, il differenzialismo rinvia sempre a una qualche forma di concezione razziale. Ora, il mondo anglosassone, la società tedesca e la società giapponese si possono configurare come società a priori differenzialiste.
Le società universaliste hanno invece una preconcezione opposta, quella di una eguaglianza degli uomini. Vorrei precisare: anche se comunemente "universalista" è una parola connotata positivamente, essere "universalista" non vuol dire essere "gentile". Per definizione universalismo vuol dire "pensare che gli uomini sono gli stessi dovunque".
Faccio un esempio per spiegare cosa intendo per società "differenzialista" e società "universalista". In Francia, società universalista, alla seconda generazione, il tasso di matrimoni misti delle figlie di immigrati algerini con la popolazione francese è del 25%, mentre in Germania il tasso di matrimoni misti delle figlie di immigrati turchi è del 2%, cioè 10 volte meno, e per le figlie di immigrati pakistani in Inghilterra il tasso di matrimoni misti è a metà strada fra questi due dati percentuali.
Ora, è chiaro che queste differenze non si possono spiegare ricorrendo a distanze antropologiche fra le rispettive culture, l’algerina e la francese, la turca e la tedesca o la cultura pakistana e quella inglese. C’è evidentemente una preconcezione e io ne cerco l’origine, da antropologo, nella famiglia. E’ una vecchia ipotesi che esplicita il rapporto esistente fra una data struttura familiare e un certo numero di preconcezioni ideologiche. L’ipotesi è molto semplice, e proprio per questo terrificante: se si è allevati in un sistema familiare egualitario, nell’idea, cioè, che i fratelli, maschi e femmine, sono eguali, questo fatto produce una sorta di preconcezione sociale generale, per cui, se i fratelli sono eguali, anche i popoli sono eguali, anche gli uomini sono eguali, dappertutto. Viceversa, se siete allevati in una famiglia nella quale i fratelli non sono considerati uguali, ne segue, visto che i fratelli sono differenti, che anche gli uomini, e i popoli, sono differenti.
Dunque, se prendiamo il bacino parigino, dove sono nate tutte le ideologie egualitarie francesi, dov’è nato lo stesso concetto di uomo universale e dove si protesta contro gli immigrati, ma se ne sposano le figlie, vediamo che questa mentalità egualitaria può essere ricondotta a una struttura familiare altrettanto egualitaria, nella quale non si fanno differenze tra i figli al momento dell’eredità. Al contrario, la famiglia inglese, a partire dal XVII secolo, ...[continua]
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