Luana Zanella, insegnante, vive a Mestre. E’ una delle fondatrici dell’associazione Le vicine di casa.

Come nasce la vostra associazione, "le vicine di casa"?
Parto con un’annotazione autobiografica. Io sono presidente di un consiglio di quartiere, proprio di questo quartiere qui, Carpenedo-Bissuola, 40.000 abitanti. Nel parco del quartiere si faceva una festa, chiamata "sotto i cieli del mondo"; era una festa che aveva lo scopo di avvicinare il mondo degli extracomunitari alla città, ed era anche, purtroppo, un momento di disturbo, perché ci sono delle case vicino al parco. Quando abbiamo proposto di fare questa festa, c’è stata una sollevazione popolare e io per la prima volta mi sono trovata nella situazione di non riuscire più a capire la gente. Mentre tutti gli amici e le amiche della sinistra o del mondo del volontariato davano solo una lettura negativa di questo rifiuto e reagivano violentemente, chiamando gli oppositori "gentaglia, razzisti", io ho voluto vedere più da vicino e ho cercato di parlare con questa gente, di "avvicinarmi". Da lì ho visto che, al di là del disturbo o meno arrecato dalla festa, la nostra gente aveva perso quella pratica di accoglienza che vent’anni o trent’anni fa, quando eravamo certamente più poveri, aveva. Allora mi sono interrogata, anzi ci siamo interrogate come associazione su questo punto, cioè sul fatto che il cosiddetto razzismo, in realtà, è qualcosa di più di un rifiuto, di un atteggiamento negativo e qualunquista, ma ha a che fare con il non poter dar vita a determinati comportamenti in maniera spontanea. E’ come se alla gente normale fossero venuti meno gli strumenti culturali, religiosi e politici per affrontare una realtà nuova. Può darsi che ci sia l’impossibilità di dare una risposta positiva a problemi che non si sanno più affrontare culturalmente e ideologicamente. Bisogna capire praticamente quali problemi crea agli abitanti di un certo quartiere avere sempre la prostituta sotto casa, avere tanti immigrati clandestini nel proprio quartiere...
E’ così che abbiamo cominciato a dire alla sinistra: "State attenti a tacciare la gente, i giovani, di razzismo. Andate ad interrogare perché si esprimono così". Le occasioni per confrontarci con questo problema non sarebbero mancate. A Mestre, per esempio, ci sono state tante assemblee contro i profughi zingari della ex-Jugoslavia; regolarmente, in quelle occasioni, sentivo questi concittadini inferociti che non volevano questi profughi da nessuna parte, non li volevano neanche vedere, però tutti gli interventi cominciavano con il solito leit-motiv: "Io non sono razzista, ma...". Ecco, allora ho avuto come un flash e mi sono detta: "Anche questo è un grido di aiuto". Facendo l’insegnante e vedendo lo spiazzamento che i miei allievi e le mie allieve subivano di fronte a questo problema, mi sono resa conto che c’era anche un lavoro politico da fare, che non poteva più consistere nella semplice proiezione di film. Era un lavoro politico più sottile, più fine, di ascolto e di interrogazione profondi. Insomma, ci troviamo in un’epoca di grandi trasformazioni e per i nostri giovani, per la gente comune, è veramente atroce affrontare e interpretare una realtà che cambia continuamente sotto gli occhi. Ecco perché ci siamo dette: "Benissimo, noi facciamo volontariato con questa gente". Abbiamo scelto di "andare in soccorso", non dei lontani, ma dei vicini.
In che modo? Partendo innanzitutto da noi stesse. Le prediche o, peggio, le colpevolizzazioni sanciscono una distanza incolmabile, per ottenere dei mutamenti ci vuole una politica più vicina ai problemi concreti e questo lo si può fare solo partendo dalle proprie contraddizioni. La politica che fanno "le vicine" è una politica che parte sempre da un’interrogazione su di sé, dai problemi e dagli ostacoli tuoi interiori, quindi da una presa di coscienza personale; poi, da qui, è capace di mettersi in dialogo con gli altri. Se non sai fare i conti con i tuoi problemi, non ti avvicini in maniera relazionale all’altro o all’altra, non crei in te quell’ascolto necessario dell’altro che è indispensabile per cominciare a rifondare una cultura politica.
Naturalmente, il nostro non poteva essere che un lavoro molto paziente, molto concreto e molto quotidiano: un fare vicino a casa. Alcune di noi venivano da esperienze di impegno pacifista ai tempi della guerra del Golfo, e devo dire che non abbiamo mai rimpianto l’idea di "modificare il mondo". Anzi, per noi quest ...[continua]

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