La società contemporanea pone all’ordine del giorno i problemi derivanti dal confronto e dalla coesistenza di culture e tradizioni fra loro anche molto diverse. Tutto questo implica varie difficoltà nella giustificazione delle norme e del fatto stesso che le norme vengano non solo obbedite, ma anche sentite come tali. Su questo terreno l’“argomentazione normativa” si pone come possibile strada alternativa tanto al relativismo estremo quanto alla legiferazione d’imperio…
L’ipotesi dell’argomentazione normativa muove dalla constatazione che spesso, soprattutto laddove si confrontano culture, tradizioni, abitudini diverse, quando si affrontano determinati problemi a sfondo normativo -cioè argomenti che possono poi tradursi in leggi, provvedimenti sociali e simili-, si ondeggia tra due atteggiamenti opposti, fra loro speculari. Da un lato, infatti, c’è una sorta di relativismo cinico e disincantato, per il quale non è possibile argomentare in modo razionale quando sono in gioco dinamiche di potere; mentre, dall’altro, c’è il suo opposto, cioè l’idea che, su tali argomenti, sia possibile “inchiodarti alla parete” con un’argomentazione razionale severa, precisa, ineluttabile, conclusiva. Accettando i loro presupposti, però, entrambi questi estremi sono poco produttivi sia dal punto di vista teorico che da quello pratico, perché il ragionamento, la riflessione, l’argomentazione appunto, diventano impossibili. Al contrario, la nostra ipotesi -parlo al plurale perché il pensiero normativo è l’oggetto dei seminari, degli incontri, dei dialoghi pubblici promossi dal gruppo di ricerca che abbiamo attivato a Modena- è che sia possibile e doveroso salvare uno spazio per l’argomentazione razionale, uno spazio che non sia necessariamente quello del ragionamento che pretende di “concludere” definitivamente la riflessione su un dato argomento. Se io, per dire tutto ciò in un altro modo, scrivo un libro nel quale argomento che Raffaello ha un valore estetico maggiore rispetto a Leonardo, faccio certamente un’operazione accettabile, ma sarebbe perlomeno discutibile se io aggiungessi che il mio libro chiude l’argomento e stabilisce una gerarchia ufficiale e indiscutibile di valori. Un’affermazione come questa sarebbe folle perché non si può chiudere un argomento come questo: al massimo si può offrire un contributo importante, che genererà discussione e magari farà vedere Leonardo e Raffaello sotto una luce nuova, ma non si potrà mai concludere la discussione su questi due artisti. Ugualmente, però, non sarebbe nemmeno produttivo affermare che il mio libro non ha senso perché i gusti sono gusti. Questa relativizzazione può sembrare una posizione molto rassicurante e difendibile, con un suo nocciolo duro di profonda verità, tuttavia non riconosce valore a tutta una serie di argomentazioni che invece hanno validi fondamenti, molti motivi di interesse; una tradizione che non si può cancellare con un tratto di penna.
Ma ogni argomentazione, anche la più aperta possibile, si basa su dei presupposti che non è detto siano universali…
Se noi fossimo coerenti con la convinzione che, poiché l’argomentazione è sempre, necessariamente, parziale e non universale, e quindi non può “raggiungere” l’altro, potremmo essere tentati di concludere che tanto vale essere parziali del tutto e imporre con la forza o l’inganno quello che ci sembra giusto o a noi vantaggioso. Tale sarebbe forse l’esito di una completa relativizzazione dell’argomentazione normativa. E’ dunque vero che l’argomentazione è argomentazione “per noi” (e non a caso molto spesso l’argomentazione si trova a mediare tra due universi concettuali quasi totalmente indipendenti), m ...[continua]
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