Mi chiamo Pietro Gallotta e ho 52 anni. Il primo contatto con questa struttura l’ebbi nel ’90, per una crisi sia depressiva che esistenziale: non riuscivo più a lavorare, non riuscivo più ad essere me stesso, nonostante avessi molto amici. Venni in questo centro spontaneamente, per potermi curare, e dopo il primo colloquio, in cui parlai dei miei problemi, passai alla terapia farmacologica. Questa cura la feci per un anno, poi non so come, mi ripresi dalla depressione, un po’ con la convinzione, un po’ con i farmaci, un po’ con l’aiuto degli amici.

Sono sempre stata una persona dinamica, la mia vita è stata molto attiva prima che succedesse tutto questo... Sono stato quasi sempre un lavoratore autonomo, ero molto bravo nell’artigianato, facevo bigiotteria, ho lavorato il legno, la creta, cose che in parte qualcuno mi ha insegnato, in parte ho imparato coi miei occhi, perché ho questa capacità di apprendere guardando. E i soldi che guadagnavo li investivo tutti nell’andare in giro per l’Italia e all’estero. Avevo sete di conoscere altre città, altre nazioni; sono stato in Germania, Francia, Inghilterra, Olanda. Ho anche fatto i lavori più disagiati, il lavapiatti, l’inserviente, il giardiniere. Allora in Inghilterra iscrivendoti al collocamento, potevi lavorare come giardiniere, cameriere... E col ricavato mi procuravo da vivere, mi pagavo la pensione e mi rimaneva qualche soldo per viaggiare e andare in giro a visitare le città, perché imparare mi è sempre piaciuto, ho sempre avuto sete di conoscere, di sapere, pur non avendo un titolo di studio superiore.
Questo mi ha portato ad avere una cultura superiore rispetto alle scuole che ho fatto. La mia fortuna -o sfortuna che sia stata- è che, avendo vissuto anni da solo (ho perduto entrambi i miei genitori da piccolo, e i miei tutori, cioè i miei zii, mi hanno chiuso in collegio), è nata in me una ribellione, un po’ innata, un po’ voluta. Infatti a 15-16 anni già vivevo in pensione, usando vari escamotage, dicevo che avevo 18 anni.
Ho vissuto spesso per la strada. Vivere così era nello stesso tempo un’esigenza e un’esperienza. Giravo col sacco a pelo, andavo a mangiare alle mense dei poveri, oppure mi imboscavo nelle mense universitarie, mi spacciavo per studente pur di mangiare. A quell’epoca poi avevo i capelli lunghi, la barba, sembravo uno straniero e nel campus universitario venivo accettato. Sono stato in giro per quindici anni, a Napoli tornavo solo per fare le cosiddette “tappe di riposo”, ma non avevo casa, non avevo una dimora fissa, mi appoggiavo da amici che mi ospitavano per qualche settimana oppure andavo a dormire ai giardinetti col sacco a pelo, allora si faceva.
E’ stato un periodo bello, ma che mi ha anche segnato perché si aveva sempre a che fare con la sopravvivenza, con la lotta tra poveri. Chiedevo l’elemosina e poi col ricavato mi compravo qualche cosa che magari dividevo con gli altri, perché c’era questo spirito di gruppo, di condividere tutto con gli altri. Si mangiava una pizza, si andava in birreria, si andava a bere; era il mio modo di vivere la vita, di vedere e interpretare la libertà.

Ora vivo solo, però in passato ho avuto varie avventure; ho vissuto anche con una donna per cinque o sei anni, ma non mi sono mai sposato; il matrimonio l’ho visto sempre come una forma di contratto e non di rapporto.
Le mie amicizie erano molto varie, dallo studente al professore universitario alla persona della strada. Ho fatto varie esperienze, ho incontrato culture diverse, che mi hanno portato a crescere come uomo, forse anche a sbagliare...
A volte ho dei sensi di colpa perché potevo fare di più e non l’ho fatto. Potevo sfruttare maggiormente le mie capacità, e non l’ho fatto, forse a causa delle contingenze, del caso, della mia vita fatta sempre di espedienti e di stenti; magari perché non sono stato spronato da nessuno. Ero io che decidevo, se la cosa mi andava la facevo, se non mi andava non la facevo. Però ho sempre avuto iniziativa, anche perché dovevo procurarmi delle entrate economiche per mantenermi e sopravvivere.
Allora mi spostavo spesso, Napoli, Firenze, Roma, Parma, Mantova, giravo con la mia bancarella; era un modo di guadagnare e conoscere le città nello stesso tempo. Allora i bancarellari erano pochi, oggi c’è più lotta, più concorrenza. Ho lavorato anche in fabbrica... Poi, non essendo sposato, non avendo doveri verso una famiglia, se un giorno non mi andava, la bancarella mi permetteva anche di non s ...[continua]

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