Filippo La Porta, critico e saggista, ha pubblicato tra gli altri Narratori di un sud disperso. Cuntastorie in un mondo senza storie, L’ancora del Mediterraneo, La nuova narrativa italiana. Travestimenti e stili di fine secolo, Bollati Boringhieri, e Pasolini, uno gnostico innamorato della realtà, Le Lettere.

Perché un critico letterario scrive un libro sull’esperienza?
Potrei rispondere con una frase di Elsa Morante, che, volendo definire lo scrittore (da lei contrapposto allo scrivente), ha detto: “Lo scrittore è colui al quale sta a cuore tutto ciò che esiste tranne la letteratura”. Ecco, anch’io ho sempre inteso la letteratura come rapporto con l’esperienza, come rivelazione della realtà. E’ un ponte, un passaggio… Tutte le altre definizioni mi sembrano riduttive: penso ad esempio all’idea strutturalista di letteratura come funzione del linguaggio che si è imposta per tanti anni. Certo, la letteratura è anche funzione del linguaggio, ma è soprattutto tentativo di dare forma al caos, ci aiuta a fare esperienza di qualcosa. La letteratura spinge sempre fuori da se stessa. Se questo non accade forse non la si capisce veramente.
Come è nato questo libro?
Mi vengono in mente due date simboliche: la prima è il 1980, quando Goffredo Fofi mi chiese di scrivere un saggio su Linea d’ombra di Conrad per la rivista omonima. In quell’occasione ho cominciato a riflettere sull’esperienza, leggendo Conrad ho capito che l’esperienza non è una cosa che si possa cercare, in quel caso la prova iniziatica che un adolescente si cerca per dimostrare il suo valore a sé e agli altri. Il ragazzo che nel romanzo si trova ad affrontare l’esperienza del comando della nave si aspetta di trovarsi di fronte a grandi prove, un tifone ad esempio, invece non accade nulla del genere, perché la nave rimane bloccata per più di un mese a causa di una bonaccia. Allora l’esperienza dove sta? Sta proprio nella bonaccia imprevista… E’ ciò che ti sorprende, che non ti aspetti; non ha niente a che vedere con le grandi prove eroiche che ti prepari ad affrontare volontaristicamente. In Linea d’ombra l’esperienza è questa bonaccia che costringe il protagonista a un’attesa spossante, quindi è la negazione di qualsiasi intenzionalità, di qualsiasi progetto o sforzo di volontà. Parlando della vita, Raffaele La Capria ha detto: “La vita è tutto quello che ti capita quando sei occupato a fare altro”. Ecco, lo stesso vale per l’esperienza. Ma dicevo che c’è un’altra data importante per la mia riflessione su questo tema ed è il 1990, quando è nato mio figlio. Quella infatti è stata forse la prima cosa veramente irreversibile della mia vita. E’ persino banale, ma io credo che le verità più importanti dell’esistenza siano tutte un po’ ovvie, però abbiamo bisogno di arrivarci da soli, attraverso un nostro percorso individuale, e con i nostri tempi (nessun altro può farlo per noi); come la lettera rubata di Poe stanno sotto ai nostri occhi, ma noi non le vediamo. Il fatto per esempio che tutti noi esseri umani condividiamo lo stesso destino, che siamo tutti egualmente esposti alla sventura, è ovvio, ma per capirlo dobbiamo arrivarci attraverso un percorso spesso traumatico, doloroso. In Guerra e pace, Andrej Bolkònskij, per rendersi conto di questa uguaglianza creaturale degli esseri umani, ha bisogno di essere ferito in battaglia e di vedere il suo rivale sotto la stessa tenda, anche lui ferito e con una gamba amputata. Allo stesso modo io ho avuto bisogno che nascesse mio figlio per rendermi conto davvero dell’irreversibilità dell’esperienza umana, da quel momento in poi le cose sarebbero andate solo in una direzione e questo mi costringeva a prendere una posizione precisa.
Anche la realtà come l’esperienza non è determinabile, è mutevole, ma non modificabile, al più può essere interpretabile. Non ti pare che nella cultura contemporanea ci sia una difficoltà diffusa a interpretare il reale?
La realtà oggi è difficilmente interpretabile perché disponiamo di troppe interpretazioni. Tutto quello che facciamo ce lo troviamo già interpretato da qualcun altro, siamo circondati da analisi bell’e fatte di tutto quello che viviamo. I talk show serali dicono anche, almeno ogni tanto, cose interessantissime, solo che impediscono di pensare di testa propria. Se ne vedessi uno ogni sera potrei constatare che le mie stesse opinioni sono espresse meglio da qualcun altro, che su quei temi ha fatto una riflessione sistematica, si è documentato, ecc. L’impor ...[continua]

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