Sono rimasto molto sorpreso dalla sentenza della Corte di Cassazione, perché avevo letto la sentenza di condanna della Corte d’Assise di Milano e mi ero convinto, leggendo le tantissime pagine di quella relazione, che per quanto riguarda il mandato di uccidere, cioè l’incarico di commettere l’omicidio, la parola del pentito Marino non avesse riscontri. Nella sentenza si era ritenuto il pentito Marino credibile per una serie di ragioni, dopodiché si era andati ad interpretare la norma che dice che le dichiarazioni del chiamante in correità devono essere valutate con gli altri elementi di prova che ne dimostrino l’attendibilità e la fondatezza, nel senso che basta convincersi, anche sulla base di elementi che non riguardano direttamente gli imputati chiamati, che una persona è credibile per arrivare a credergli fino in fondo. Era un processo, questo, nel quale mancavano i cosiddetti riscontri individualizzanti, quelli cioè che riguardano Sofri, Pietrostefani, Bompressi. Riscontri che fossero elementi di prova, di conferma delle dichiarazioni di Marino. Ero quindi convinto che la Cassazione avrebbe annullato la sentenza, ma non è andata così. Adesso bisognerà aspettare le motivazioni di questa decisione. Fra le altre cose, uno dei motivi che mi spingevano a prevedere una diversa decisione della Corte di Cassazione era il fatto che, a parte l’assenza dei riscontri individualizzanti, c’era anche la circostanza che il pentito Marino era caduto in una serie di contraddizioni per quanto riguarda tempi e modalità dell’incarico ricevuto. Tanto per dire, Pietrostefani, secondo le prime dichiarazioni di Marino, è presente nell’incontro di Pisa durante il quale viene dato l’incarico da Sofri di uccidere Calabresi e parla con lui; in altre dichiarazioni Pietrostefani è presente, ma non parla con lui; nelle ultime dichiarazioni Pietrostefani non c’è più e parla solo con Sofri. Ho citato questa contraddizione solo per ricordare come nelle confessioni di Marino ce ne siano state diverse. Questo è un elemento importante perché normalmente, quando si valuta la credibilità di un pentito, si valuta la sua credibilità soggettiva, si guarda se il suo discorso è stato sempre un discorso lineare e coerente o se è caduto in contraddizione. La mia personale convinzione è che questa decisione della Cassazione sia sbagliata, che questa condanna avrebbe dovuto essere annullata e il processo rimandato ad un altro giudice, magari non più a Milano.
A questo punto cosa resta da fare?
A questo punto c’è poco da fare. Vedo che si parla di processi a carico di giudici dei precedenti processi, sia di quello che redasse la motivazione suicida, sia a carico del presidente del collegio successivo, quello che per la terza volta ha condannato Sofri e gli altri. Io sono poco convinto, credo che non siano discorsi che avranno sviluppi di fronte alla regola generale del nostro paese, secondo la quale, quando c’è una sentenza definitiva, non ci si torna più sopra, non se ne parla più. Esiste l’istituto della revisione, cioè sono previsti dei casi in cui, pur essendoci delle sentenze passate in giudicato, ugualmente si possono rimettere le mani nel processo, ma si tratta di casi molto ben definiti dalla legge. Uno, quello classico, è che domani emergano nuovi elementi di prova incompatibili con la dichiarazione di colpevolezza degli imputati o un nuovo processo in cui altre persone siano accusate dello stesso delitto. Oppure che una sentenza di condanna si basi su documenti dimostrati falsi, o che c’è dolo, nel caso che siano stati commessi dei reati, ad esempio dai giudici, per portare ad una determinata decisione. Sono ipotesi molto nette, molto chiare, non credo che ipotesi di questo genere riguardino i procedimenti di cui si parla a Brescia. E’ un processo che purtroppo è nato male, per tutta una serie di ragioni che riguardano anche le indagini iniziali, e che è finito male. Certo è importante, se posso fare una considerazione che non riguarda più Sofri, capire che abbiamo un tipo di legislazione sui pentiti che ha determinato certi effetti e che probabilmente va ripensata, ma va ripensata non per impedire l’esistenza dei pentiti, che sono persone che molte volte consentono di fare chiarezza su fatti terribili e delitti gravissimi e consentono anche di prevenire e di impedire che nuovi reati vengano comme ...[continua]
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