Per gentile concessione di Pucci Saija Panzieri, di Pinzi Giampiccoli e della casa editrice Punto Rosso (edizioni@puntorosso.it - 02.874324), pubblichiamo l’intervista alla signora Pucci, che compare nel libro Raniero Panzieri, un uomo di frontiera, edizioni Punto Rosso. Il libro, a cura di Paolo Ferrero e con prefazione di Marco Revelli, contiene anche i contributi di Gianni Alasia, Luca Baranelli, Sergio Bologna, Giorgio Bouchard, Ester Fano, Pino Ferraris, Goffredo Fofi, Nando Giambra, Pinzi Giampiccoli, Giovanni Jervis, Dario e Liliana Lanzardo, Luca Lenzini, Edoarda Masi, Mario Miegge, Giovanni Mottura, Cesare Pianciola, Vittorio Rieser, Renato Solmi, Mario Tronti.

Ho conosciuto Pucci alla fine del 1961 a Torino frequentando le riunioni dei Quaderni rossi.
Spesso la sera andavamo a trovare Pucci e Raniero nella loro piacevolissima casa in collina in un soggiorno con grandi finestre che davano su un giardino pieno di alberi, con le pareti interamente coperte da librerie piene di libri e di dischi e passavamo insieme ore di discussione non solo su questioni politiche, ma anche culturali, musicali e letterarie, da Luigi Nono a Brecht, da Marx a Max Weber, Guttuso, Dallapiccola, Schonberg ecc. Non si trattava di riunioni politiche, che si tenevano nella sede dei Quaderni rossi in via Bligny, ma di incontri tra amici1.
La mia amicizia con Pucci è nata in quegli anni e mi ha accompagnato da allora fino ad oggi.
Dopo la morte di Raniero, Pucci aveva avuto un incarico in una scuola media della cintura di Torino, Venaria, e lì abbiamo lavorato insieme in un gruppo di compagne che condividevano con lei l’entusiasmo, l’interesse, la voglia di sperimentare e le lotte per il cambiamento della scuola: sono stati anni molto pieni e anche divertenti!
La figura di questa donna che, anagraficamente, apparteneva alla generazione dei miei genitori, ma con la quale ho condiviso tanti momenti importanti come se fosse una mia coetanea, è molto particolare e ha esercitato su di me e su molte altre donne che facevano parte dei Qr o dintorni, un grande fascino: è stata una donna attiva, impegnata sia culturalmente che politicamente, emancipata ma contemporaneamente una casalinga efficiente, che sapeva cucinare stupendamente e accudiva ben tre figli che ha troppo presto dovuto allevare da sola.
La coppia che formava con Raniero è stata per molti di noi un esempio di libertà, reciproco rispetto, profondo legame, gioia di condividere, scambio di idee e di opinioni: una coppia ricca (non certo dal punto di vista dei soldi) e sicuramente felice. Penso che nessuno dei due sarebbe stato quello che è stato senza l’altro/a.
Questa che segue non è un’intervista, Pucci mi ha chiesto di non farle domande troppo rigide e di non chiederle analisi politiche; è semplicemente una chiacchierata che ha lo scopo di fare conoscere la persona che è stata la più importante nella vita di Raniero.
Sull’ultimo periodo, quello di Torino e dei Quaderni rossi, c’è molto altro materiale in questo libro. Pucci mi ha chiesto di non soffermarsi sugli ultimi anni di Raniero.
Pinzi Giampiccoli

Raccontami com’era la tua famiglia di origine.
Quando sono nata, ad Alessandria, il 30 ottobre del 1917, mio padre era in guerra e non so perché mia nonna, che viveva a Bologna, non fosse venuta e così mio padre aveva mandato il suo attendente per aiutare mia madre. Non so perché fossimo ad Alessandria, mia madre, che si chiamava Maria Clelia Castaldini, mi ha sempre raccontato poco mentre mio padre mi ha raccontato le storie della sua famiglia.
La mia nonna materna era una donnina deliziosa, ma suo marito era un “mascalzone” che aveva speso tutti i suoi soldi in gioco e donne: era di famiglia ricca, proprietari terrieri, e aveva sperperato tutto e così aveva dovuto trovare un lavoro e si era messo a fare il cocchiere; portava in giro la gente per guadagnare qualcosa. Mia madre non lo ha mai voluto vedere e non lo voleva per casa, così veniva la nonna da sola. Mio padre, poi, li ha mantenuti mandando loro dei soldi tutti i mesi: era un uomo di grande generosità!
Mia madre aveva una bellissima voce e le chiedevano di cantare in chiesa, cantava l’Ave Maria di Gounod e altro. In casa, mio padre, che non aveva mai studiato e suonava ad orecchio, stava al pianoforte e lei, che era un mezzosoprano, cantava la Butterfly. Lei aveva avuto una vita difficile. Studiava canto ma aveva dovuto smettere: si era messa a fare la modista per sopperire alle necess ...[continua]

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