Corrado Malandrino è professore di Storia delle dottrine politiche presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università del Piemonte Orientale. Ha pubblicato, tra l’altro, Federalismo. Storia, idee, modelli, Carocci 1998.

Lei sostiene che anziché di “federalismo” sarebbe meglio parlare di “federalismi”, in considerazione dei diversi modelli federali e delle molte retoriche del federalismo spesso radicalmente contrapposte tra loro. L’elaborazione federalista ha, dunque, molte vite: quali sono le principali del ’900 italiano?
Secondo me, non ci si può limitare al ’900 italiano senza conoscere le precedenti espressioni di pensiero federalista sia in Italia, che all’estero. Sono riscontrabili, infatti, dei forti legami. Se prendiamo, nell’800, il pensatore italiano che più di tutti ha il diritto di chiamarsi federalista, cioè Carlo Cattaneo (collocato all’origine di una sua precisa “scuola”, di una sua precisa tradizione di pensiero, con Gaetano Salvemini come snodo principale nel ’900), ebbene scopriamo che il federalismo cattaneano ha una sua radice filosofica, e tuttavia, da un punto di vista istituzionale, quando Cattaneo ha bisogno di indicare dei modelli, non li indica in Italia, dove non esistono, bensì fuori. Indica il federalismo elvetico, che è quello più vicino anche territorialmente all’esperienza italiana, ma, soprattutto, quello americano, che è l’altro federalismo, l’altra tradizione di federalismo fuori dall’Italia.
Cattaneo ha poi ben presente che il federalismo mostra due facce, due versanti. Su questo punto è molto importante il contributo di Bobbio, che ha curato la pubblicazione degli scritti federalisti di Cattaneo. Io stesso mi sono sforzato di sviluppare questo tema in quello che chiamo paradigma del federalismo classico o tradizionale (rimando, a questo proposito, al mio saggio Sovranità nazionale e pensiero critico federalista, pubblicato nel 2002 sui “Quaderni fiorentini”). Il federalismo, per come lo vedo io, dev’essere collegato al momento di critica della sovranità nello Stato moderno. Perché dico questo? La sovranità nello Stato moderno -così come noi la vediamo sorgere da Bodin a Hobbes a Rousseau, e a prescindere dai diversi regimi politici- si presenta come il momento di accentramento del potere, di monolitismo del potere. Non importa che sia uno Stato assoluto, uno Stato democratico, o un altro genere di Stato: la sovranità nello Stato moderno è il momento in cui vengono accentrate le facoltà del potere. Ora, il federalismo nasce come momento di contestazione di tutto questo, a partire da due punti di vista diversi: un punto di vista infrastatuale o infranazionale e un punto di vista sovrastatuale o sovranazionale. Possiamo individuare due momenti storici emblematici. Il primo è rappresentato dalla storia degli Stati Uniti d’America, con la guerra di indipendenza e, poi, la Convenzione di Filadelfia del 1787, che porta alla grande discussione tra federalisti e antifederalisti. Nel 1788-89, Hamilton, Madison e Jay scrivono The Federalist, considerata la Bibbia del federalismo moderno. Noi troviamo proprio lì la nascita del federalismo sovrastatuale. Qual è il concetto alla base del Federalist? Che la sovranità dello Stato non è monolitica, ma può essere condivisa verticalmente a più livelli. Si tratta di una affermazione molto impegnativa anche in termini di cittadinanza. La Federazione deve essere un prodotto non solo degli organismi statali, ma anche dei cittadini dei singoli Stati. La Federazione, quindi, si riferisce ai cittadini, che sono nello stesso istante cittadini del loro Stato e cittadini della Federazione. Quest’ultimo è, insomma, un momento di statualità sovrastatuale, con l’incarico di gestire alcune materie: il diritto di pace e di guerra, tutta la politica estera, la diplomazia, la sicurezza della Federazione, una parte dei poteri fiscali, la moneta, le grandi scelte di carattere economico continentale. Esistono quindi livelli di sovranità condivisi che si esplicitano in un tessuto istituzionale, quello della Federazione, nel quale c’è una ripartizione di poteri che poi è quella di Montesquieu: i tre poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario), divisi, con pesi e contrappesi. Si crea, cioè, uno Stato che sta sopra gli altri Stati e che ha, con essi, un rapporto di collaborazione, ma anche di controllo. Ai singoli Stati restano tutte le competenze di carattere più territoriale. Siamo, quindi, di fronte a un’autonomia politica vera e propria, c ...[continua]

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