Andrea Segré è preside della facoltà di agraria dell’università di Bologna. E’ presidente dell’associazione “Last Minute market” e autore del libro Lo spreco utile, Pendragon, Bologna, 2004.

Ci può spiegare che cos’è il Last Minute Market?
Il Last Minute Market, tradotto alla lettera, è il mercato dell’ultimo minuto, che distribuisce prodotti destinati al macero, alimentari e non, a chi ne ha bisogno, attraverso la mediazione tra associazioni for profit (supermercati, pasticcerie...) e associazioni no profit (comunità di recupero, parrocchie, mense…). Con la parola “ultimo” intendiamo prima di tutto il tempo, inteso come variabile, e che dobbiamo ridurre: abbiamo fretta perché andiamo a recuperare prodotti che sono vicini alla data di scadenza e che devono essere consumati subito, soprattutto se parliamo della versione principale e più nota del nostro mercato, quella del cibo. Ma la parola “ultimo” si riferisce anche al consumatore finale a cui sono destinati questi prodotti: anche lui è “ultimo”. Viviamo in una società che ama l’abbondanza, dove ci sono dei consumatori con potere d’acquisto (che possono permettersi, chi più chi meno, qualsiasi cosa), ma poi c’è anche una larga fetta della popolazione che è senza potere d’acquisto, fuori da qualsiasi mercato. Questa fascia di non-consumatori sta crescendo, almeno negli ultimi anni, almeno da quando noi abbiamo cominciato ad osservarla e a lavorarci, cioè dal 1998. Osservando questa realtà ci siamo inventati un sistema per fare da ponte tra queste due istanze inespresse, che non potevano incontrarsi dentro il sistema di mercato normale. Facciamo da collegamento tra il consumatore senza potere d’acquisto e il prodotto eccedente, sprecato, che di fatto viene gettato via, ma lo facciamo entro un sistema che non è più quello di mercato. Il prodotto, che resta nei fatti invenduto, perde il suo valore economico, cioè non ha più prezzo, e così il Last Minute Market è un mercato di doni, di scambi senza contropartita. Attraverso il dono abbiamo trovato il modo di convertire l’economia negativa di una non-offerta (prodotti che non potevano essere venduti) e una non-domanda (persone che non potevano comprare), trasformandola in un circolo virtuoso che crea anche legami tra persone: il beneficiario e il donatore si incontrano anche fisicamente e il valore del bene scambiato sta anche in questa relazione e nel capitale sociale che crea. D’altra parte, se letto in chiave antropologica, il dono è uno scambio di anime. Ci siamo inventati anche delle “cene della solidarietà”, le abbiamo chiamate così, ne abbiamo organizzate diverse perché venissero in contatto i donatori e i beneficiari anche al di fuori del mercato. Servivano anche a far capire ai beneficiari che quelli che ricevono in dono, pur essendo prodotti recuperati, sono assolutamente identici a quelli che consumano gli altri. Sono stati momenti veramente forti. Non erano cene di Natale, non sono state pubblicizzate, non c’era la stampa: erano tra di noi. Il Last Minute Market, quindi, è un tipico esempio di progetto di sviluppo sostenibile locale. Nella definizione di sviluppo sostenibile infatti ci sono i tre aspetti: quello sociale, quello ambientale e quello economico.
Dal punto di vista ambientale la nostra iniziativa permette di evitare lo smaltimento di tonnellate di prodotti, quindi il trasporto e l’inquinamento; dal punto di vista economico chiaramente si hanno benefici notevoli per entrambe le parti (curioso se si pensa che non girano soldi) perché il donatore, l’impresa for profit, risparmia i costi dello smaltimento, mentre il beneficiario, l’impresa no profit che riceve e distribuisce i prodotti, risparmia sull’acquisto. Peraltro, siccome si donano prodotti di elevatissimo valore nutrizionale, si ha anche un beneficio di tipo sanitario. Facciamo un esempio: sarà meglio spremersi delle arance fresche, magari un pò ammaccate, piuttosto che andarsi a cercare un succo pastorizzato… Comunque il dato che conta, nella definizione di sviluppo sostenibile, riguarda l’aspetto sociale, perché si crea una rete forte. Ci sono casi molto interessanti. Vorrei citare ad esempio quello di Ferrara: in questa città abbiamo coinvolto nel progetto non soltanto il “grande sprecone”, l’Ipermercato (gran sprecone si fa per dire, è solo che le quantità per forza di cose sono maggiori), ma anche attività più piccole come ad esempio le pasticcerie. A Ferrara c’è una famosa pasticceria che si chiama Orsatti e che ...[continua]

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