Hai scritto un nuovo libro, si intitola La casa di tutti...
Sì, quello precedente era intitolato Le piazze del sapere, che tra l’altro ha avuto un enorme successo per essere stato scritto da una semplice bibliotecaria, e credo che proprio il titolo abbia aiutato a far comprendere meglio e di più l’idea di una nuova biblioteca. Il termine “biblioteca” non va più bene, per molti rimanda solo al tema dei libri, ma oramai una biblioteca non è più solo un luogo dove ci sono libri. Oggi ci sono molte biblioteche che si definiscono piazze del sapere; è come se avessimo avuto bisogno di avere un modo diverso e nuovo per chiamare questi luoghi. Anche le biblioteche americane o del nord Europa hanno un nuovo modo per definirsi, ma già public library indica qualcosa di molto diverso dalla nostra biblioteca perché per loro la library nasce già come luogo sociale, inclusivo, per tutti, dove vai non necessariamente solo per studiare e leggere.
Dopo alcuni anni è arrivato La casa di tutti. La parola “casa” mi è venuta in mente anche pensando alla pandemia. Perché non tutti hanno la casa e poi, per chi ne ha una ha grande e confortevole, durante la pandemia ha rappresentato un luogo dove poter fermarsi, uscire da una vita frenetica, avere del tempo per sé. Dall’altra parte invece c’è stata moltissima gente che in isolamento ha sofferto, perché se vivi in un appartamento di trenta metri quadri in quattro, magari senza connessione veloce, con i compiti on line e il lavoro da svolgere, beh, diventa una tragedia. Infatti adesso le conseguenze si vedono e sono enormi, soprattutto per gli adolescenti. Quindi casa come luogo dove puoi allargare quelle che sono le pareti domestiche. È un libro più politico dell’altro, è un libro positivo, pur essendo noi in un momento in cui sarebbe così facile essere negativi, che inizia riflettendo su alcuni concetti.
Il primo è la fiducia: come è facile perderla e quanto abbiamo bisogno di luoghi, persone, situazioni che aiutino a ritrovarla, soprattutto nei confronti delle istituzioni. Ecco, quanto abbiamo bisogno della biblioteca come luogo gratuito, facile, accessibile, con orari che dovrebbero essere compatibili per tutti. Basta con queste biblioteche aperte solo la mattina o qualche ora al pomeriggio. Devono stare aperte il sabato e la domenica, quando le persone ci possono andare. Perché la biblioteca aperta con gli orari dello studio e degli studenti chiaramente esclude tutti quelli che lavorano. Mi ricordo a Pesaro, la domenica, il pubblico della biblioteca era estremamente diverso da quello del resto della settimana, non solo perché erano differenti le persone, spesso erano anche le stesse, ma perché venivano nel loro tempo libero, non per prendere di corsa un libro in prestito. Era proprio un momento che si concedevano per stare in quel luogo a leggere un giornale, un settimanale, a guardare un film… Per questo continuo a dire che non voglio che le biblioteche si trasformino in centri commerciali, ma vorrei che ci assomigliassero. Quindi che diventassero un luogo sempre aperto, che non discrimina, dove può entrare chiunque, anche qualcuno che non compra nulla. Da un’indagine è risultato che le persone che frequentano le biblioteche vi ripongono un’enorme fiducia, perché evidentemente lì dove sono aperte e c’è del personale che ti accoglie, trovano una relazione, un rapporto diretto e positivo. Questo dà una bella sensazione, perché è un luogo, un servizio pubblico, gratuito, che funziona.
Un altro concetto è quello dell’uguaglianza. Noi abbiamo un assoluto bisogno di avere posti dove uno non si senta diverso dall’altro. Per esempio la Salaborsa, qui a Bologna: entri, ti trovi in questa esedra, percorri un piccolo corridoio e quando arrivi in fondo, se è la prima volta che ci vai, esclami: “Wow!”. Perché è grande, è bella, ed è stupefacente la dimensione sociale, relazionale. Ci vanno tutti, turisti, studenti, cittadini, immigrati. Per studiare, per portare il figlio a leggere un libro, per leggere i giornali, e si sentono accolti. È un luogo dove darsi appuntamento proprio come fosse ...[continua]
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