Parliamo di biblioteche. Facciamo intanto un quadro della situazione?
Ho fatto recentemente per l’Anci e il Centro per il libro un viaggio attraverso alcune province italiane, fra cui Biella, Ravenna, Lecce, Siracusa e Nuoro, e ho riscontrato degli elementi comuni a tutte le biblioteche: orari di apertura limitati, pochi frequentatori e sempre gli stessi; quando funzionano fanno molti prestiti ma in realtà a un numero limitato di persone. La maggior parte dei cittadini non frequenta la biblioteca. La media italiana non si sa bene quale sia ma potrebbe andare dal 4 al 10%, nelle zone dove funziona, e arrivare al 20% nelle comunità più piccole dove è più facile avere percentuali più alte. In questo 20% hai i lettori forti, che lo sono di loro, indipendentemente dalla biblioteca, e nella biblioteca hanno un luogo dove trovare continuamente libri, che magari, con la crisi, non possono più permettersi di acquistare. Infatti, succede anche che i frequentatori abituali magari vorrebbero trovare le novità, che le biblioteche non comprano più per via dei pesanti tagli. Le biblioteche poi funzionano moltissimo come luoghi di studio per studenti, il che, intendiamoci, è un’ottima cosa, ma questi ci vanno spesso coi propri libri e dispense, non utilizzano i patrimoni delle biblioteche e non è detto che finiti gli studi ritornino, perché non sentono che quel luogo potrebbe essere utile in tutti i momenti differenti della vita.
Quindi abbiamo anche servizi che funzionano, ma per una parte marginale della popolazione. Questa è più o meno la realtà.
Detto questo, però, io continuo a pensare che la biblioteca, esattamente come la scuola, faccia parte di quei servizi di base che andrebbero pagati con le tasse dei cittadini, fondamentali per costruire un paese democratico e dare la possibilità a tutti di avere lo stesso accesso alle informazioni e la stessa competenza nell’accesso alle informazioni. Non è quindi solo un problema di lettura.
Credo che prima di tutto dovremmo far capire ai sindaci che la biblioteca è un luogo importante. Nei miei giri ho incontrato tantissimi sindaci che di fronte a un’idea diversa da quella che avevano di biblioteca sarebbero stati assolutamente disponibili a investire. Purtroppo però oggi così com’è la biblioteca è estremamente vulnerabile. Io continuo a incontrare colleghi che dicono: "Vogliono chiudere la biblioteca”, "Io vado in pensione”, "La daranno in mano ai volontari”... E già questa idea che basti un volontario che sappia leggere per tenere aperta una biblioteca attesta che non siamo riusciti a far capire l’importanza di quel luogo. Qualcuno si farebbe fare un’operazione chirurgica da un volontario?
Certamente scontiamo anche problemi atavici. Se facciamo il confronto coi paesi nordici, sarà per via della cultura protestante e per una socialdemocrazia che ha sempre investito molto sui servizi, sta di fatto che si legge molto di più e la biblioteca è sempre stata vista come un cardine fondamentale della comunità.
Come ridefiniresti quindi la biblioteca?
Io una volta l’ho definita un "pronto soccorso culturale”. Per fare questo, però, va totalmente riposizionata, deve diventare qualcos’altro. Oggi abbiamo bisogno di avere dei luoghi dove le persone possano stare insieme e fare delle cose insieme. Perché sia a livello intergenerazionale che all’interno delle stesse generazioni ormai sono sempre meno le occasioni per fare delle cose insieme. Al massimo si gioca a carte, e invece le cose da fare potrebbero essere tantissime. Nelle biblioteche in giro per l’Europa si fanno laboratori di tutti i tipi, dalla stampante 3d, al taglio e cucito, allo yoga, al corso di inglese, mettendo in campo tutte le nuove conoscenze, ma anche tutti quei saperi legati alla manualità. Adesso si parla molto degli artigiani. Perché la biblioteca non può essere un luogo dove i saperi che si stanno perdendo trovano un loro luogo di trasmissione? Quindi una biblioteca con grande di ...[continua]
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