All’indomani della rivolta delle banlieues, le strade di Parigi, e del Paese intero, sono state invase da scioperi e manifestazioni studentesche contro la legge sui contratti di primo impiego varata dal governo de Villepin e infine ritirata. Cosa è successo?
La prima considerazione è che si è trattato del movimento popolare più importante che la Francia ha conosciuto dal ’68. Qualcuno ha paragonato queste mobilitazioni a quelle del ’95, ma non è corretto. L’ho verificato personalmente; in seguito ad accese discussioni avvenute con amici, sono andato negli archivi dell’Afp (Agence France-Presse); ebbene, è stata la prima volta dal ’68 che una fonte, in questo caso sindacale, ha parlato di più di due milioni di manifestanti. E che la stessa polizia ha parlato di più di un milione (sappiamo che i numeri della questura sono spesso sottostimati). Queste cifre non venivano registrate dal ’68.
Secondo punto. Perché questo movimento ha assunto una tale forza? Penso che ci siano almeno quattro ragioni importanti da sottolineare. La prima è che il Cpe (Contrat Première Embauche) non è stato percepito come un banale nuovo contratto, ma come un passo decisivo -dopo il Cne (Contrat Nouvelle Embauche)- verso lo smantellamento su aspetti decisivi del Codice del lavoro francese. Questo l’hanno capito in tanti, giovani e non giovani: se il Cpe veniva applicato si apriva il varco a una progressiva distruzione delle garanzie del Codice del lavoro per tutti.
Quindici anni fa la questione centrale era la disoccupazione, punto. Oggi è in gioco molto più di questo: prevale nella gente un sentimento di insicurezza che investe il lavoro, ma anche la propria abitazione, la propria protezione sociale e sanitaria, perché le riforme hanno intaccato anche lo stato sociale; lo stesso sistema pensionistico è stato ridimensionato. Per questo la “flessibilità” (noi preferiamo parlare di precarietà) è diventata la questione centrale nello scontro tra il modello neoliberista e la rivendicazione popolare di una vita un po’ più sicura.
Questa incertezza inoltre è diventata il centro delle preoccupazioni anche della classe media.
Poi c’è un altro punto. Ne ho parlato anche sul Manifesto. Non si può capire la portata del movimento se non si sente l’esasperazione diffusa, anche da parte di gente di destra, verso questo governo. Chirac è stato eletto prevalentemente dalla sinistra e quindi si era pensato che avrebbe tenuto conto di questo consenso “di sinistra”. Invece c’è stata fin da subito una politica ultrareazionaria, più di quella di Blair o Schroeder, che ha iniziato a erodere il sistema sociale che la Francia vanta almeno dalla Liberazione, dal ’45. Pensioni, sicurezza sociale, oggi il codice del lavoro: hanno toccato tutto. Non solo, pur avendo perso tutte le elezioni dal 2002 in poi, quelle regionali, le europee, il referendum sulla costituzione, hanno continuato come se avessero il consenso della maggioranza della popolazione.
Ecco, questo atteggiamento del governo alla fine ha avuto un effetto boomerang. Non a caso si è parlato di un fattore “autismo”. Anche nello scontro sul Cpe ogni qualvolta il governo rifiutava di negoziare, di consultarsi, di discutere, il movimento è cresciuto, alimentandosi della sua stessa esasperazione.
Alla fine non si parlava più del Cpe, ma dell’autismo di Villepin e del governo in carica. Il fattore “autismo”, testa dura, è stata una spinta decisiva per la crescita finale del movimento. All’inizio erano state occupate cinque, dieci, venti università, con piccole dimostrazioni, alla fine tutte le università erano occupate…
Così se 6-8 mesi fa la maggioranza della popolazione era a favore del Cpe; alla fine il 75% si è schierata per il ritiro immediato del progetto. Dunque questo secondo fattore, a mio avviso non adeguatamente preso in considerazione, è stato davvero determinante per provocare una protesta così diffusa.
Terzo punto, importantissimo: per la prima volta, dal ’68, abbiamo avuto un’unità sindacale quasi totale. In Francia da anni il Cfdt, il sindacato di origine cristiano-democratica, si era avvicinato al partito socialista, ma -se posso dirlo- all’ala liberista. Qui l’abbiamo chiamata la “seconde gauche”, la seconda sinistra. La Cfdt ha sempre preso posizioni ...[continua]
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