Eduardo Rosenzvaig, scrittore e docente universitario, insegna nella Facoltà di Arte dell’università statale di Tucumán. E’ autore di saggi e racconti. Sulla provincia di Tucumán ha scritto assieme a Horacio Lobo il libro Jardín de excluidos.

La crisi argentina del 2001, così come la reazione sociale e politica più rilevante, quella dei movimenti piqueteros, è stata rappresentata come un evento legato al contesto urbano di Buenos Aires. Eppure sono le province del nord la parte più povera dell’Argentina.
Buenos Aires non è il centro del paese solo dal punto di vista economico, demografico e geopolitico. Anche dal punto di vista della democrazia è il luogo più ricco, senza dubbio.
Fu la dittatura militare a distruggere ogni forma di democrazia nell’interior del paese. A Tucumán, Santiago del Estero, così come nella provincia di Catamarca, ciò che chiamiamo democrazia è ridotto a un’elezione che si fa ogni due anni con candidati politici di due raggruppamenti rivali che controllano tutto, o anche di uno solo diviso in due. Questi controllano l’ambito statale e la struttura dei piani sociali, i sussidi, gestiti secondo una logica clientelare.
Per questa ragione la crisi si è risolta in una maniera differente a Buenos Aires e a Tucumán. A Buenos Aires si è aperto uno spazio verso la democratizzazione, creato dalle lotte popolari condotte dal basso, a Tucumán invece si è chiuso. C’è stata un’inversione di direzione: se da una parte la crisi spingeva verso esperienze importantissime e per molti versi nuove di partecipazione popolare, a Tucumán e in molte altre province del nord questo non è accaduto, anzi, se possibile il deficit di democrazia si è fatto ancora più grave.
Le conseguenze della crisi si sono fatte sentire anche a Tucumán?
Soprattutto a Tucumàn. Qui la fame è cronica. Quando c’è stata la svalutazione del 2001 il valore della moneta è crollato rispetto al dollaro e i prezzi dei prodotti importati, in un’Argentina la cui economia si basava sull’importazione, sono saliti alle stelle. Oggi un lavoratore, per acquistare una cucina, deve indebitarsi per mesi e mesi. Gli stipendi sono diventati qualcosa di irrilevante, persino i nostri stipendi, quelli dei docenti universitari.
Qua nel nord la fame era colossale, terribile. Oggi a Tucumàn ci sono moltissimi quartieri in cui la gente vive senza elettricità, senz’acqua, senza servizi. Moltissima gente ha deciso di emigrare, soprattutto tra i giovani. Per il neoliberismo contano molto i grandi latifondi e molto poco i lavoratori. Il progetto attuale è la coltivazione della soia, che impiega un lavoratore ogni mille ettari. Nelle campagne di Tucumán molti paesi stanno scomparendo ed è apparso un fenomeno nuovo, quello del drogadicto rurale, il contadino che rimane senza terra e a cui non rimane che drogarsi.
In città poi è apparsa la classe dei cartoneros, veri e propri diseredati, gente senza lavoro, senza educazione, senza salute, che esce di notte a cercare il cartone e altri materiali riciclabili tra la spazzatura. Raccolgono spazzatura e la portano nelle loro case, col risultato che queste diventano dei veri e propri immondezzai. E vivere in un immondezzaio non crea la migliore disposizione per cambiare la propria coscienza.
La povertà nella provincia di Tucumán è un prodotto della crisi del 2001 o ha un’origine più antica?
Tucumán è una delle province più povere e con più disoccupati dell’Argentina. Arriverei a dire che tra i giovani solamente uno su dieci riesce a ottenere un lavoro che possa soddisfarlo e dargli il necessario per vivere. Abbiamo un esercito di disoccupati che ricevono ogni mese un sussidio dallo Stato, creando una nuova forma di clientelismo della quale si approfittano i politici attuali. Ma questa situazione non è certo stata creata dagli avvenimenti, peraltro drammatici, degli ultimi anni, è endemica da molti decenni.
Tucumán si era imposta fin dalla metà del ventesimo secolo, forse ancora prima, come la provincia più povera dell’Argentina. Arriverei a dire che l’esclusione è nata in questa terra; qui c’è gente che non ha accesso a nulla, né ad un’alimentazione adeguata, né ad un’educazione, né ad un ruolo sociale e politico. E tutto questo in una provincia che nell’immaginario argentino ha da sempre significato la vittoria della civiltà sulla selva, la natura addomesticata, tanto che ancora oggi Tucumán è conosciuta come il “Giardino della Repubblica”. Parafrasando questo appellativo un gruppo ...[continua]

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