Gustaw Herling è il più importante scrittore polacco vivente. Delle sue opere tradotte in italiano ricordiamo qui, edite da Feltrinelli, Un mondo a parte e Ritratto veneziano. Da lungo tempo vive a Napoli.

Nei suoi racconti, soprattutto in quelli di Ritratto veneziano, la presenza del male risulta centrale. Può parlarcene?
Io non accetto il ragionamento della Chiesa cattolica, secondo cui il male è la semplice assenza del bene; io ho un punto di vista quasi manicheo al riguardo, in quanto considero il male qualcosa di fisso, che esiste indipendentemente dal bene, che è sempre esistito e sempre esisterà. Così come i grandi scrittori del passato, penso a Dostoevskij e a Thomas Mann, che lo hanno personificato nei loro romanzi, I Fratelli Karamazov e Doctor Faustus, sono convinto dell’esistenza del diavolo, ovviamente dando a questo termine un significato simbolico. In una recente intervista apparsa su un giornale cattolico, un vecchio esorcista italiano, che andava in pensione perché ormai stanco del suo lavoro, sosteneva che, mentre nel passato il diavolo faceva tutto il possibile per convincere gli uomini che non esisteva, oggi ha cambiato tattica: ogni giorno mostra la propria esistenza. Questa è una prima risposta. Il male, che ovviamente esiste da sempre, oggi assume forme molto più evidenti, oggi fa parlare di sé, e questo ha contribuito enormemente a renderlo ovvio, banale, quotidiano. E’ questa ovvietà del male che rende la gente sempre più indifferente a quanto le succede intorno.
E’ la situazione analizzata da Hannah Arendt ne La banalità del Male. Mentre il male nei secoli passati aveva un carattere demoniaco, oggi l’agire del male è diventato banale, perché ha assunto una dimensione talmente di massa, e talmente enorme che ormai la sensibilità delle persone si è attenuata. In fondo, la Arendt descrive lo sterminio di milioni di persone dal punto di vista di un protagonista che non ha nemmeno la più piccola qualità per poter sembrare il diavolo in vesti umane: è un semplice funzionario, sicuro di svolgere il proprio compito allo stesso modo di un suo collega che magari è capostazione.
La banalizzazione del male è una cosa tremenda. Sono sicuro che, se cercassimo le ragioni dell’enorme crescita del male ai giorni nostri, le troveremmo nel carattere della nostra epoca, nei suoi ultimi decenni: il male è diventato estremamente banale proprio perché abbiamo assistito all’assassinio di milioni di persone. Nulla, ormai, ci fa grande impressione. Certo, se ne parla, si fanno film, si scrivono libri sull’argomento, io stesso ho scritto un libro sui campi di concentramento sovietici, ma questo, ormai, rischia di ottenere un effetto addirittura contrario. Ormai siamo abituati al fatto che l’uomo possa fare di tutto, anche su una scala tremenda: non è più questione di uccidere un numero ristretto di persone, ma di ucciderne milioni. Il male si è massificato, è diventato ordinaria amministrazione.
Questa è l’eredità che ci ha lasciato l’ultima guerra. Oggi, le possibilità che un uomo ha di compiere il male sono diventate enormi. Prima, chi avvertiva la presenza del male, l’avvertiva come una forza demoniaca che lo colpiva, lo puniva magari; il concetto di essere puniti con il male era molto diffuso. Oggi tutto questo non c’è più; oggi è il mio vicino di casa che può compiere il male. L’esempio di come un uomo possa trasformarsi in puro e semplice distruttore l’abbiamo avuto. Tutto quello che Eichmann dice durante il processo di Gerusalemme è estremamente banale, non capisce nemmeno di che cosa viene accusato: quello era il compito che gli era stato assegnato. Questo personaggio da commedia, quasi inesistente, davanti al tribunale mostra una faccia stupefatta e sembra voler dire: "Che cosa volete da me? Io non c’entro. Questo era l’ordine che avevo avuto. Ho solo fatto quello che mi era stato ordinato".
La stessa cosa si può dire riguardo all’Unione Sovietica. Anche lì, sebbene, purtroppo, non conosciamo il numero preciso delle vittime, il male è diventato una cosa naturale. Quello che mi colpì durante il mio soggiorno nell’Urss era che l’esistenza dei campi e il fatto che i prigionieri vi morissero come mosche faceva parte della normale vita sociale. Questa, secondo me, è la ragione profonda di quel che sta succedendo oggi: è crollata la sensibilità delle persone verso il delitto e la violenza. Nessuno dice niente, tutti accettano le notizie del male come fossero comunicati meteorologici. Di ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!