Sono andata in Argentina quando avevo undici anni. Quando sono arrivata era una meraviglia, soprattutto per noi che fuggivamo dal fascismo; là c’era il presidente, un governo democratico, sembrava il paradiso. Purtroppo è durata pochissimo. Poi c’è stato un susseguirsi di colpi di stato, un po’ di regime normale, e poi un altro colpo di stato... è sempre stato così.
Si dice sempre che sono state le donne argentine a mantenere viva la memoria, a marciare in Plaza de Mayo… Questo è vero solo in parte, si è anche creato un immaginario. Per la mia esperienza posso dire che tanto gli uomini quanto le donne in quel periodo drammatico hanno cercato di far fronte al dolore, alle ansie, alle paure più o meno nella stessa maniera: lottando per la verità e per riavere i propri cari.
Certo le donne sono tradizionalmente quelle che danno la vita e che la difendono, sia essa dei figli o dei compagni. C’è poi da dire che era anche più semplice che fossero le donne, perché incutono comunque un certo rispetto in quanto madri, oltre al fatto che esistevano delle ragioni pratiche: gli uomini lavoravano, per cui le donne avevano più tempo per occuparsene.
E’ stato anche il caso che ci ha unito. Individualmente facevamo tutte le stesse cose, per cui ci incontravamo e la cosa più logica da fare era provare a riunirci, scambiarci informazioni, proporre nuove iniziative. Così siamo arrivate a Plaza de Mayo. E’ una storia nota: c’è stato un momento in cui non ci si poteva radunare in più di due o tre persone, e quindi ci hanno detto “circolate”, e noi li abbiamo presi alla lettera. Ci siamo messe in circolo, era come un abbraccio; questo ci ha dato molta forza, perché è subito diventato un punto fisso, una data fissa, tutti i giovedì. Abbiamo scelto il giovedì anche per uno “studio di mercato”: il sabato non c’era nessuno in piazza e il giovedì invece era un buon giorno, perché quella era una zona di lavoro e c’era gente in giro... noi volevamo farci sentire, non volevamo solamente andare di qua e di là, volevamo chiedere, anzi pretendere, anche alzando la voce. La piazza era il posto giusto.
C’è un’ultima cosa: direi che c’è anche una forza fisica, di resistenza, delle donne che ha aiutato. Ma non bisogna lasciare da parte gli uomini. Gli uomini c’erano, c’erano i compagni, c’erano anche quelli che venivano in piazza. Non venivano tutte le settimane, ma quando c’era una manifestazione c’erano anche loro.
Oggi l’Argentina vive una fase molto particolare, non solo per la crisi del 2001, ma anche per una serie di eventi quotidiani: i piquetero che bloccano le strade, gli scontri legati alla salma di Perón. Il peronismo è stato un fenomeno unico, diverso da qualsiasi altro regime. Perón è stato abilissimo, ha imparato dai fascisti, nonostante periodi di grande gloria e altri di decadenza, è riuscito sempre a barcamenarsi, rimanendo un punto di riferimento. Per esempio in quel periodo moltissimi giovani pur venendo da gruppi di sinistra si sono messi la camicetta peronista.
Negli anni Settanta c’è stata una generazione di militanti che avevano delle idee ben chiare e precise: volevano cambiare una società sempre più segnata da una divisione tra i ceti ricchi e quelli poveri e in cui la classe media stava restringendosi. La storia politica argentina era stata scandita da continui colpi di stato, e quindi la lotta politica vera e propria era da un po’ che non si faceva. Noi di storie di dittatura ne abbiamo avute tante in Argentina.
Ecco, quella generazione aveva un progetto di cambiamenti sociali ed economici, e poi voleva ridare valore alla propria vita. C’erano direzioni diverse, ma tutti avevano lo stesso scopo.
Oggi non è così. La crisi economica e il peronismo hanno portato allo sfacelo. Parliamo di un movimento molto difficile da spiegare, perché va dall ...[continua]
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