La vicenda albanese quale significato riveste per l’Europa, sia dal punto di vista politico che da quello culturale?
In un certo senso la decisione di inviare un corpo di spedizione in Albania testimonia che l’Europa prova rimorso per quanto accaduto in Jugoslavia. Chiaramente, è pensando alla Jugoslavia che si è deciso sull’Albania. Questo è un buon segno perché prova che l’Europa ha una cattiva coscienza, essendosi accorta della propria inconsistenza politica e militare di fronte ai problemi dell’Est. Ma è anche un cattivo segnale perché rivela che intraprendiamo questo nuovo intervento con la mente rivolta a quello precedente, mentre, nel caso dell’Albania, non ci troviamo in una situazione paragonabile a quella della Jugoslavia. Lì vi era un aggressore ben definito, l’esercito federale jugoslavo che aveva nelle milizie nazionaliste serbe della Bosnia i propri rincalzi, sul quale si sarebbe potuto esercitare una pressione militare. Per questo, fin dall’inizio, sono stato favorevole a un intervento militare, dapprima in Croazia, in seguito in Bosnia. Difatti, dopo cinque anni, è stato proprio un intervento militare che ha posto fine, immediatamente e facilmente, al conflitto, smentendo tutti i pronostici pessimisti degli esperti, sia americani che europei, sia di destra che di sinistra. Ebbene, si sarebbe potuto intervenire cinque anni prima, evitando lutti e distruzioni; per questo le autorità europee, che non vogliono ripetere gli errori commessi in Jugoslavia, provano rimorso. Spesso però, non volendo ripetere un errore, si finisce per commetterne un altro: in Albania, infatti, non c’è da fermare un esercito che stia perpetrando un’aggressione.
Bisogna allora chiedersi perché e come intervenire. A queste due domande non sono state date risposte chiare. L’Europa, infatti, ha detto che lo ha fatto per assicurare protezione ai convogli umanitari, ma a questo riguardo vi sono due obiezioni da fare. Primo, i convogli umanitari, stando a quel che ci dicono gli esponenti delle associazioni umanitarie presenti sul posto, non si trovano in situazione di pericolo; secondo, e sono sempre le medesime associazioni umanitarie a dirlo, l’emergenza umanitaria è molto inferiore a quanto si potrebbe pensare perché non c’è carestia in Albania. Stando così le cose, se l’Europa fosse spinta unicamente da preoccupazioni umanitarie, bisognerebbe chiedersi perché non ha fatto nulla per la regione orientale dello Zaire, dove l’emergenza umanitaria è incomparabilmente più grave. Sotto pena di accusare di razzismo la Commissione di Bruxelles, bisogna concludere che non sono solo ragioni umanitarie a motivare il perché dell’intervento. Bisogna, riconoscere che c’è un non detto, che vi sono delle ragioni, degli obiettivi reconditi. Con questo non voglio dire che questi siano necessariamente sbagliati, dico semplicemente che le cose nascoste non sono mai buone.
Ovviamente, se non si è precisi riguardo al "perché", tanto meno si può esserlo riguardo al "come". Ci sono state, a questo riguardo, dichiarazioni contraddittorie, del tipo: "Non interverremo negli affari interni dell’Albania". Ma cosa sono gli "affari interni" di uno Stato che non è più tale? Si è anche detto: "Non andiamo per ristabilire l’ordine". Questo è molto gentile, ma non possiamo certo sopportare un disordine generalizzato, soprattutto quando i nostri soldati si trovano in pericolo di vita, potendo esser presi in ostaggio dalle diverse bande armate. Pertanto, il "come" dell’operazione, e cioè: "Ci possiamo difendere?", "Possiamo sparare?", "Non possiamo sparare?", risulta a tutt’oggi molto impreciso. Non è stato detto che le truppe non hanno il diritto di difendersi, ma non è stato neppure detto in che modo possono difendersi e chi prende le decisioni al riguardo. Com’è noto, a Sarajevo le truppe dell’Unprofor avevano ufficialmente il diritto di difendersi, essendo l’autodifesa una regola inscritta negli statuti dell’Onu, salvo che, quando un miliziano serbo sparava contro un soldato dell’Unprofor, questi doveva far rapporto al proprio comando sul posto, che, a sua volta, doveva far rapporto telefonicamente ai propri superiori del Centro di Sarajevo, che a loro volta dovevano telefonare al Centro di Zagabria, il quale doveva telefonare al Centro di New York; in genere, passavano come minimo due ore, che per rispondere al fuoco mi sembrano un po’ troppe.
Secondo lei, allora, qual è il vero obiettivo della spedizione militare europea?
L’obiettivo real ...[continua]

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