Carlo Flamigni, ginecologo di fama internazionale, è primario del reparto di fisiopatologia della riproduzione dell'Ospedale S. Orsola di Bologna, e presidente del SIFES, Società Italiana Fecondità e Sterilità. Da tempo impegnato sui problemi della bioetica.

Tempo fa fece notizia l'annuncio che lei fermava la sua ricerca. Ce ne può parlare?

Credo che innanzitutto vada fatto un discorso generale su queste cose. Io vi dico la mia opinione.
Il motore di questa società è per gran parte la ricerca scientifica. La ricerca scientifica procede con una sua velocità, il controllo della ricerca scientifica deve essere affidato alla società. Ed è un controllo di tipo tecnico e un controllo di tipo morale. In fondo la bioetica è nata così, come necessità di controllare le vie di sviluppo della ricerca scientifica e di verificare se queste vie non conducessero anche a risultati contrari all’interesse sociale o agli interessi morali; o comunque che non determinassero quello che viene considerato “l’indice di scandalo”. La popolazione ha un certo indice di reazione nei confronti delle cose nuove, che magari è così oggi e non sarà più così domani, ma che va rispettato.
Allora il problema è che questo controllo è longitudinale, non può essere fatto di colpo, perché la ricerca scientifica si muove progressivamente. Immaginatela come un serpente che esce da una tana, che ha un indirizzo e va in una direzione, ma che via via che viene fuori, vengono fuori delle valenze laterali che sono altrettanto importanti perché portano a strade altrettanto importanti, e che meritano altrettanto importanti considerazioni. Allora il controllo morale va fatto longitudinalmente e quindi ritengo, ad esempio, che non possa essere fatto dalle religioni, che sono immobili perché ancorate ai loro problemi tecnici, di immobilità legata alla struttura dalla quale sono formate, e quindi incapaci di mediazione. E la mediazione è uno dei sistemi con cui si fa il controllo longitudinale.
In questo modo, sono convinto che, considerato momento per momento questo controllo longitudinale, si deve partire dal concetto che non tutto quello che è possibile fare debba essere fatto. Che delle cose debbano essere rinviate, riconsiderate, altre che debbano essere abolite e così via. Io potrei fare anche oggi una valutazione di una cosa della quale non so prevedere mai l’accettazione, di un’altra di cui non so prevedere l’accettazione in tempi brevi e di un’altra ancora, invece, di grande discussione attuale.
Per esempio non so prevedere l’accettazione di qualcosa che comporti  la confusione di genomi umano e non umano: questa mi sembra una cosa -la parola che mi viene è: bestiale- inaccettabile da parte della nostra società, e non vedo oggi, ma credo che non vi potrò vedere mai, degli scopi che la possano giustificare. E credo anche che di fronte a una cosa simile l’indice di turbamento della popolazione, per quello che io posso prevedere, non si modificherà mai.
Una seconda cosa invece di cui vedo le impossibilità attuali, ma di cui potrei verificare domani che questa impossibilità non c’è più, è la terapia genica. La terapia genica oggi è accettata da tutti per quello che riguarda le cellule somatiche: se un bambino ha una malattia indotta geneticamente, legata al fatto che le sue cellule non sono capaci di fare un certo enzima perché manca un certo gene, io gli tiro fuori delle cellule, le arricchisco del gene giusto, gliele restituisco, e probabilmente così lo curo e lo guarisco.
Ma quando arriviamo alle cellule germinali -l’ovocita, lo spermatozoo, o l’embrione nelle prime fasi di sviluppo, quando tutte le cellule sono totipotenti-, il discorso cambia completamente. Prima di tutto perché le modificazioni che io induco diventano stabili nella progenie, non riguardano più soltanto quell’individuo ma tutti i suoi discendenti, se ho indotto una mutazione questa mutazione sarà stabile. In più io non ho le tecniche sufficienti per garantire che l’introduzione di questo gene faccia esattamente ciò che io voglio, potrebbe fare quello che io voglio, ma anche qualche altra cosa: potrebbe aggiungere un gene, ma spegnerne un altro altrettanto necessario, oppure modificarne un terzo. Quindi io potrei indurre un’alterazione di tipo mutazionale, una mutazione quindi, che si riproduce sistematicamente nella progenie e che determina una nuova forma di patologia. Io non ho il diritto di farlo. Ma il giorno in cui le tecniche saranno così sicure che l’introdu ...[continua]

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