Per conoscere questa realtà siamo andati in un campo nomadi permanente a Bologna dove abbiamo intervistato Floriano Debar, zingaro sinti, residente nella zona da circa ventanni.
Ho 59 anni e tredici figli, sei maschi e sette femmine; ho sudato per tirarli su, e ho sempre cercato di crescerli onestamente, perchè far del male non mi piace, non faccio agli altri quello che non voglio sia fatto a me. Prima lavoravo in un circo nostro, un’arena all’aperto, aveva cominciato mio padre in tempo di guerra; sono caduto anche dal trapezio trent’anni fa e da allora abbiamo smesso; ero stato direttore del circo, poi capocomico, ma andare davanti alla gente con la faccia così rovinata non mi piaceva più. Il nonno era francese, il papà era nato in Italia; in tempo di guerra lo zio Giovanni, che era a Modena, l’han mandato in un campo di concentramento politico con tutta la sua famiglia; lui era nato a Toulon, in Francia. Io non ho mai visto uno zingaro che vada in un campo di concentramento politico! Anche noi abbiamo liberato l’Italia come voi (io ero un bambinetto): quando c’è stata la rivolta i nostri ragazzi erano tutti partigiani. Si dormiva da un contadino, all’incrocio con la provincia di Mantova; quando si sapeva che i Tedeschi passavano di lì, li si fermava: la prima volta, con una pistola sola e delle pompe di bicicletta che sembravano dei fucili, ne hanno fermati cinque, li hanno disarmati e così hanno cominciato ad avere i fucili veri. Poi una volta alla settimana venivano quelli del comitato di Mantova a prendere le armi e ci lasciavano quelle “irregolari”. Questo per dire che l’Italia l’abbiamo fatta anche noi zingari. Quando in tempo di guerra è venuto l’oscuramento e non si poteva più lavorare perchè ci volevano i fari nell’arena, allora facevo l’ombrellaio; avevamo una carovana bella, ma l’avevamo dovuta tagliare a metà, cosi sembrava un carro, altrimenti gli aerei ci mitragliavano.
E dormivamo in quella baracchetta, un po’ qui un po’ 1à; poi, quando quella carrettella non andava più bene, perchè la mitragliavano lo stesso, si andava per alloggi; la gente si voleva più bene, quando ci vedevano cercare da dormire, magari sotto il portico, ci dicevano: “Ma no sotto il portico, è freddo d’inverno, venite nella stalla”. Lì si dormiva bene, si raccontavano le storie, la vita, la gente ascoltava; aggiustavamo sedie, ombrelli e dopo due o tre giorni cambiavamo posto. Il vero zingaro non è che abbia avuto voglia lui di partire col proprio fagotto, è stato per forza, 1a gente non voleva che un gruppo di 4 o 5 persone
facessero una tendopoli o dormissero sotto un ponte. I carabinieri, i gendarmi, ci mandavano via; dal ‘400, quando chi uccideva uno zingaro non commetteva reato, siamo sempre stati cacciati via. Come fanno adesso coi gruppi degli extracomunitari, con gli slavi che arrivano. Noi eravamo sempre scacciati, o messi agli arresti, perchè ti fermavano e la carta d’identità allora non c’era. Io ero nato casualmente a Como, ero senza residenza. Arrivavano i carabinieri e ti fermavano 8 giorni per misure di pubblica sicurezza e facevano le indagini: da Bologna scrivevano a Como, poi bisognava aspettare la risposta. Siamo sempre stati scacciati, altrimenti se il primo zingaro lo avessero trattato bene, non girovagava di qua e di là con un carrettino. Noi abbiamo girato anche con una carovana col somarello, perchè non avevamo l’automobile. Una volta andavamo da Sant’Alberto a Ravenna, c’era una neve che copriva metà carovana e mia moglie era incinta. All’improvviso si sente mal ...[continua]
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