Gianfranco Bonola è docente di Storia delle religioni presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Bologna, dove vive.

Intanto puoi dirci qualcosa del tuo rapporto con Michele? La vostra amicizia com’è nata?
E’ una cosa che ha radici molto lontane, perché Michele era tra i docenti che circolavano intorno all’Istituto per le scienze religiose di Bologna, pur senza rivestire alcun ruolo ufficiale, nel momento in cui io vi entrai come borsista nel ’73. La sua presenza, però, all’interno di quella istituzione, la cui direzione stava concentrandosi sempre più nelle mani del prof. G. Alberigo, era ormai piuttosto sporadica. Gli altri docenti che vi si appoggiavano, come Paolo Prodi, B. Ulianich, Michele stesso, non avevano più molta voce in capitolo e ne usavano soprattutto la biblioteca. In quel periodo Michele tenne per alcuni anni l’insegnamento di Metodologia della ricerca storica alla Facoltà di scienze politiche a Bologna, ma non è che io personalmente l’abbia accostato molto in quella veste. L’inizio della nostra frequentazione è dovuto a una sua iniziativa: aveva chiesto collaborazione a Pier Cesare Bori per pubblicare il testo di alcuni corsi inediti tenuti dal giovane Schelling su S. Paolo, che aveva trovato in una biblioteca tedesca. Erano un esempio alto di esegesi tardosettecentesca, riflesso degli studi teologici del grande filosofo. Ricordo che andammo a Firenze ed era la prima volta che vedevo la casa di Michele. Io venni implicato perché, di ritorno dalla Germania, avevo una più fresca dimestichezza con le carte tedesche. In seguito Michele cercò il mio aiuto per la stesura dei testi della biografia per immagini di Wittgenstein che stava preparando per l’editore tedesco Suhrkamp. Insieme a un suo amico e collaboratore aveva messo insieme, direi per la prima volta in assoluto, un ricchissimo materiale fotografico, che intendeva corredare con didascalie tratte da testi di Wittgenstein, sia dalle lettere sia dagli scritti filosofici, ecc. Accettai con entusiasmo, anche perché ero in un momento di grande difficoltà nella mia vita, e avevo forse bisogno di essere sostenuto, e sentii questa proposta di collaborazione proprio come un aiuto. Ecco, in quest’impresa sono stato coinvolto come amanuense e dattilografo per il tedesco, e così passai molto tempo a casa di Michele.
Il Wittgenstein per immagini è del 1983. Faccio un passo indietro. Una delle cose importanti che Michele aveva fatto all’Istituto di scienze religiose, era stato nel 1979 un seminario sulle tesi di filosofia della storia di Walter Benjamin. E alla sua realizzazione avevamo partecipato anche noi borsisti, Lorenzo Perrone, Paolo Bettiolo e io. Il seminario era durato almeno un anno e mezzo, se non due, con sedute una o due volte al mese. Vi parteciparono degli studiosi di Benjamin, come Fabrizio Desideri, Massimo Cacciari, Gerardo Cunico, e anche altri più saltuariamente. Di quel materiale seminariale non si arrivò mai a pubblicare nulla. Non si era tenuta una registrazione, e sarebbe stato difficile far confluire in una pubblicazione gli appunti degli uni o degli altri…
Però Michele sentiva come una sorta di debito nei confronti di quel lavoro fatto, di ciò che era emerso, anche perché in quel seminario ci si era serviti, per la prima volta in Italia, della grande edizione delle opere di Benjamin che Suhrkamp stava pubblicando in Germania, e avevamo a disposizione tutti i materiali preparatori… Così nacque il momento successivo della mia collaborazione con lui. Nell’impossibilità di riprodurre i lavori di quel seminario, Michele si era proposto una nuova edizione delle tesi che potesse anche mettere a disposizione in Italia i ricchissimi materiali d’archivio connessi. E coinvolse me nell’impresa. Ne uscì il libro: Walter Benjamin, Sul concetto di storia.
Ecco, lavorando insieme a quel progetto si consolidò un vero e proprio rapporto di amicizia con Michele che non si è più interrotto. Eravamo ormai a metà degli anni 90 avanzati, più di una decina di anni fa.
E poi mi viene in mente tutto quello che c’è stato intorno alla traduzione italiana del grande studio di Scholem su Shabbetay Zevi. Anche l’interesse per Scholem ci accomunava. Lui ad un certo punto mi stimolò a pubblicare due lunghe interviste fatte a Scholem, in due diverse occasioni, dalla televisione tedesca che era andata, con telecamere e tutto, fin dentro all’abitazione di Scholem a Gerusalemme. All’epoca Scholem stava pubblicando il libro ...[continua]

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