Qual è la tua storia?
Sono nato nel 1954 ad Al-Bi’nah (Bina), un piccolo villaggio della Galilea, che nel 1948 aveva meno di mille abitanti. In quel periodo la Palestina non era troppo diversa dell’Italia meridionale per il territorio e l’agricoltura, il 20% della popolazione era di religione cristiana e c’era una borghesia molto attiva commercialmente e culturalmente. Vivo ancora nel villaggio dove sono nato. Mio padre era uno scalpellino, un operaio tagliatore di pietre, mia madre curava la casa e allevava noi ragazzi che eravamo tanti: sette sorelle e quattro fratelli, io sono l’ultimo nato. Ho frequentato le scuole elementari del villaggio e le scuole secondarie nella cittadina di Akko, sul mare. Poi sono andato all’Università di Tel Aviv. All’Università non ti saresti mai accorto della differenza fra un palestinese e un israeliano. C’erano un ambiente e una comunità molto accoglienti anche se la situazione politica all’esterno era molto difficile. Sono stato fortunato, studiavo teatro, i miei insegnanti erano tutti israeliani, ma non c’era nessun problema fra arabi e israeliani.
Col tempo, con l’esperienza quotidiana, crescendo, la mia carriera artistica ha seguito un indirizzo preciso in termini di impegno e di testimonianza. Ma non è stata una mia decisione, semplicemente mi sono ritrovato in quella situazione e il mio carattere si è formato di conseguenza. Inoltre, ho incontrato uno dei miei maestri Emile Habibi quando ero ancora bambino. Era un intellettuale palestinese con cittadinanza israeliana, un leader carismatico del partito comunista, fiero oppositore dell’occupazione militare in Galilea. Teneva discorsi pubblici, era una persona molto coraggiosa, combatteva l’occupazione con i metodi della nonviolenza e ha fatto più volte parte del parlamento israeliano, la “Knesseth”. E’ stato Habibi a insegnarmi la nonviolenza, il senso della giustizia e della dignità.
Ad Emile Habibi hai dedicato il tuo ultimo film, “Da quando te ne sei andato”, che è anche una tua autobiografia...
“Da quando te ne sei andato” non è un’elegia a Emile Habibi, e non è nemmeno il racconto della sua o della mia storia. Ho pensato al film piuttosto come a un dialogo, una conversazione tra due amici che si ritrovano dopo lungo tempo. Io racconto ad Emile le nascite, le morti e tutti gli avvenimenti che hanno scosso la nostra terra dopo la sua scomparsa, nel 1996. Lui si dimostra a volte entusiasta e a volte pessimista, speranzoso e scettico. Emile Habibi è il padre della letteratura palestinese dell’assurdo: se la condizione umana è inesorabilmente assurda, può essere rappresentata solo con opere e scritti anch’essi assurdi. Habibi guardava al dramma del popolo palestinese con compassione, con sincerità ma anche e soprattutto con ironia. Da quando non è più con noi abbiamo bisogno più che mai di ricordare la sua testimonianza e la sua perspicacia.
Ho realizzato un testo teatrale, “Il pessottimista” basato su un suo racconto del 1986. Un uomo racconta la propria vicenda, dice: “La mia storia comincia con un miracolo. Stavo andando con mio padre a dorso di un ...[continua]
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