Khalida Messaoudi, protagonista storica del movimento femminista in Algeria, è stata eletta deputata alle elezioni legislative del 5 giugno scorso nelle liste del "Rassemblement pour la culture et la démocratie" (Rcd), partito che si batte per uno stato laico e per uguali diritti per uomini e donne. Condannata a morte dagli islamisti nel 1993, vive da allora in semi-clandestinità nel suo paese. Autrice del libro-intervista "Una donna in piedi", una testimonianza personale con una lettura degli ultimi decenni della storia d’Algeria.

Come spieghi la recrudescenza dei massacri? Molti commentatori vedono in questo un segno di debolezza del potere militare e una conferma della necessità di riformulare delle proposte di negoziato, casomai sotto l’egida di un qualche intervento internazionale. Tu cosa ne pensi?
Io penso molto francamente che la recrudescenza dei massacri sia connessa con la loro spettacolarità e che questo serva agli islamisti per far parlare di sé. E dove vogliono far parlare di sé? All’estero. Sono persuasa che gli islamisti non possono più convincere nessuno all’interno dell’Algeria, nessuno più crede al Fis (Fronte Islamico di Salvezza, Ndr). Abassi Madani è stato liberato e, contrariamente a quello che racconta Le Monde che mente, non c’è stata alcuna manifestazione né festa popolare per la sua liberazione, niente. La sola cosa che abbiamo visto è stata una madre di famiglia che voleva uccidere Abassi Madani con le sue mani, perché ha perso dei figli, e non perché i suoi figli fossero stati uccisi dal Fis, ma perché erano entrati a far parte dei gruppi islamici armati e per questo sono morti. E Abassi Madani ha capito molto bene che non poteva nulla dall’interno dell’Algeria, non esiste più, i massacri perpetrati dai gruppi islamici armati hanno fatto sì che gli algerini ne abbiano un rigetto totale. Dunque la sola carta che resta al Fis è la scena internazionale, mobilitare l’opinione internazionale.
A mio avviso questa recrudescenza del terrore non è un segno di debolezza del potere. Bisogna essere ben consapevoli che è un potere con molto denaro e molti mezzi, che alle ultime legislative è arrivato ad organizzare brogli davanti a tutti gli osservatori internazionali, con tutte le grandi ambasciate che si sono rese complici con il loro silenzio. Un potere, dunque, che grazie al suo gas e al suo petrolio riesce a convincere tutti e, quando serve, ad organizzare il silenzio. La vera debolezza del potere sta altrove: consiste nel non avere alcun progetto di società, nel non aver alcuna alternativa da offrire agli algerini. La sola preoccupazione del potere è di durare per utilizzare la rendita petrolifera, è il suo solo progetto. Al limite, il terrore islamista può andare nel senso degli interessi del potere come strumento di repressione della contestazione sociale e dell’opposizione democratica.
Al contrario, la recrudescenza dei massacri, per paradossale che questo possa sembrare, significa la debolezza del Fis che non esiste più politicamente in Algeria. Il suo capo storico Abassi Madani è oggi incapace di convincere chicchessia. Come dicevo, non avendo più carte da giocare all’interno dell’Algeria, è stato obbligato a giocare la carta esterna. E l’ha giocata infatti, alla fine di agosto, dopo il massacro di Rais, prima di essere posto agli arresti domiciliari, quando si è rivolto all’Onu e alla stampa internazionale offrendosi di lanciare un appello per la pace e per fermare i massacri in cambio del negoziato, sottintendendo così un suo potere nel fermare gli eccidi. E’ stata una chiara ammissione di corresponsabilità.
Rispetto, infine, alla questione di un eventuale intervento internazionale, c’è una cosa che non va mai dimenticata: l’Algeria ha vissuto una guerra di liberazione nazionale terribile, contro un colonizzatore potente, la Francia. E per gli algerini, per qualunque algerino, che viva in città, in campagna, che sia del nord, del sud, dell’est o dell’ovest, un intervento esterno è sentito immediatamente come colonizzazione, li riporta ad una storia che è ancora molto recente.
E’ da poco che la Francia se n’è andata, 35 anni; cosa sono 35 anni nella storia di un popolo? E coloro che cercano di cambiare le cose all’interno dell’Algeria tramite delle pressioni e delle conferenze internazionali, in fondo disprezzano gli algerini, perché significa che vogliono imporre agli algerini dei cambiamenti senza la loro volontà, senza tener conto della loro storia e di quell ...[continua]

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