Giuseppe Laterza è editore dell’omonima casa editrice; è entrato in casa editrice nel 1981, responsabile del settore di saggistica universitaria e varia, condivide la gestione dell’azienda con il cugino Alessandro Laterza, responsabile del settore scolastico. Nel 2001 ha avviato i “Presidi del libro”, un progetto per la promozione della lettura attraverso la costruzione di una rete di gruppi di lettori. Sposato, due figli, vive a Roma.

Qual è la storia della casa editrice Laterza?
In Italia le case editrici sono nate o da librerie o da tipografie. Nel nostro caso, ancora prima che una libreria c’era una cartoleria, che fu fondata in quel di Putignano, che è un paesone vicino Bari, nel 1885, da un giovane Vito Laterza, padre di mio nonno, che era figlio di un falegname ebanista (si diceva ebanista per evitare di dire che sostanzialmente faceva casse da morto), e con una filiazione diciamo merceologica, dal legno era passato alla carta e quindi alla cartoleria. Prima a Putignano poi a Taranto, poi a Bari. E questo è l’inizio del tutto.
Vito era il maggiore di cinque fratelli e a mano a mano che l’attività si espandeva aveva chiamato uno ad uno i fratelli a lavorare con lui. Da qui Gius Laterza e figli, perché quando Vito aprì questa cartoleria era minorenne, quindi non poteva che intestarla al padre Giuseppe. In breve la cartoleria diventa una libreria e poi una tipografia, e finalmente, nel 1901, il più giovane di questi fratelli, Giovanni, che era stato a Milano, e si era sposato con una dipendente della Vallardi, che all’epoca era un’importante libreria milanese, apre la libreria e poi la casa editrice.
Nel 1901 esce il primo libro. Ognuno di questi fratelli gestiva un reparto, e questa struttura rimase fino al 1960. Parliamo di una struttura, come dire, feudale meridionale, nel senso che c’era un consiglio di amministrazione per modo di dire, perché ognuno dei cinque fratelli si occupava di un comparto, Vito, il capostipite, stava all’amministrazione poi c’era la libreria, la cartoleria, la tipografia, e finalmente la casa editrice.
La svolta avviene nel 1901 con l’incontro con Croce, puoi raccontare?
Il più giovane dei fratelli, Giovanni, aveva cominciato a pubblicare dei libri di natura locale, ma pur essendo autodidatta, non avendo alcuna formazione scolastica, era molto ambizioso, per cui decise di andare a Napoli, che all’epoca era il centro della cultura, almeno del Centro Sud -Bari era un paesone di commercianti- e incontrò una serie di personaggi, tra cui appunto Croce, che fu l’unico a prenderlo davvero sul serio. D’altra parte Giovanni Laterza allora aveva 17 anni, era giovanissimo. Tuttavia Croce lo prese sul serio, non nel senso di dargli i suoi libri, che, per carità, dava già ad editori affermati, ma nel senso di dire “mettiamolo alla prova”. Gli fece così pubblicare una traduzione di un libro straordinario (l’abbiamo ristampato in anastatica) L’Italia d’oggi, di due inglesi, Bolton King e Thomas Okey. Un libro bellissimo, che parlava di tutto, della chiesa, della mafia, del Sud, eccetera. L’incipit del primo capitolo intitolato “La politica e gli uomini politici” è straordinario. Era il 1901. Lo leggo: “Uno dei primi fatti che fermano l’osservatore della vita italiana è la confusione e la decadenza dei vecchi partiti politici. Essi hanno perso fede nei loro principi, nel loro paese, in se stessi. L’azione loro sembra poco meglio di una interessata lotta per raggiungere cariche pubbliche e di una cieca resistenza a forze che non sanno comprendere, assimilare, e pertanto temono”.
Ecco, questo è il primo libro che Giovanni Laterza pubblica su suggerimento di Croce, che lo segue passo passo, vuole rivedere le bozze, eccetera.
La collaborazione tra Giovanni e Croce sarà un tratto distintivo di questo primo periodo. Cioè Croce è stato per mezzo secolo non soltanto l’ispiratore della politica culturale, nel senso che dettava le linee delle pubblicazioni di Laterza nelle varie collane, l’orientamento, ma era anche uno attentissimo a tutti gli aspetti editoriali, alla grafica, voleva addirittura che i suoi libri fossero composti dal suo tipografo personale, che a mano metteva le lettere.
Insomma Croce dà a Giovanni un’impostazione molto chiara, che è poi quella che rimane tutto sommato ancora oggi.
C’è una famosa lettera in cui Croce mette in guardia Giovanni dicendogli: “Devi essere editore di roba grave”, e quindi saggistica, sostanzialmente. L’idea di Croce era di util ...[continua]

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