Augusto Cavadi, dopo gli studi di Filosofia a Palermo, e la specializzazione in Scienze morali e sociali all’Università statale di Roma, ha fatto quattro anni di teologia al Laterano. Il libro a cui si fa riferimento nell’intervista è In verità, in verità ci disse altro, Falzea 2008. Nel 2009 ha pubblicato Il Dio dei mafiosi, San Paolo edizioni.

In questo libro fai un po’ di conti teologici. Puoi parlarcene?
Direi che questo libro nasce da un bisogno di laicità. Io credo che ci siano due concetti di laicità: uno, quello dominante, intende la laicità come una specie di bigottismo alla rovescia, cioè chi è religioso si occupa di religione, di teologia, di spiritualità, chi non è religioso, ed è laico, non se ne occupa. A me pare che questa sia una visione riduttiva della laicità. Credo che la laicità integrale, matura, critica, sia quella di chi non lascia ai preti il monopolio dello studio della religione in generale, come è avvenuto per esempio in Italia dall’unità d’Italia in poi, quando lo Stato italiano ha detto: a me non interessa la teologia nelle università, ci pensi la Chiesa cattolica. Questo è sembrato, probabilmente, ai nostri padri liberali un gesto di laicità. In realtà è stato consegnare una dimensione simbolica, storica, letteraria, importante, a una confessione religiosa limitata come la Chiesa cattolica. Io invece ho sempre avvertito fin da ragazzo il bisogno di una laicità diversa, che è quella poi dei grandi pensatori dell’Occidente: Cartesio, Kant, Hegel, Feuerbach che hanno detto che "il problema dell’assoluto, il problema della dimensione religiosa, il problema della spiritualità, è un problema dell’uomo, non certo dei preti”. E siccome noi siamo "funzionari dell’umanità”, direbbe Husserl, vogliamo assumerci criticamente anche questa dimensione. E quindi ho sempre avvertito il bisogno di affrontare da un punto di vista non confessionale i problemi religiosi. Cioè il mio avvicinamento al cristianesimo era passato da una precisa strada, che era quella del tomismo e del neotomismo, Maritain, Gilson, la quale ci diceva che non si diventava cattolici al modo dei protestanti, per una opzione insindacabile, esistenziale, ma per un cammino di ricerca intellettuale, nel senso che la fede poi è un salto, ma deve essere la ragione che ti deve accompagnare alle soglie di questo salto. Quindi tu indaghi la natura, e ti chiedi se c’è Dio, indaghi la storia e vedi se c’è una tradizione profetica che culmina in un profeta straordinario, che ti dice: "Io sono Dio”, e allora tu esamini criticamente, in base ai documenti che hai, queste testimonianze e se questa persona è un pazzo lo escludi, se è un lucido imbroglione lo escludi; se non è pazzo e non è un imbroglione, scriveva il cardinale Danielou in quegli anni, di fronte a un uomo che si dice Dio, tu non puoi che inginocchiarti. Quindi il mio percorso di fede era stato un percorso che aveva rispettato perfettamente il protocollo pascaliano, quando dice: solo la ragione ti può dire quand’è il momento di andare oltre la ragione. Ma se questo metodo, che io continuo a condividere, in un primo momento mi ha portato a essere nel cuore dell’ortodossia, una volta applicato fino in fondo, mi ha portato a sperimentare in prima persona una frase di Nietzsche, che dice: "Il cristianesimo ci ha insegnato la volontà di verità, e proprio per questa volontà di verità non siamo più cristiani”. Mi ha portato, cioè, a una rimessa in discussione radicale di quei primi risultati e a una posizione che ho provato a chiamare "oltre cristianesimo”. Questo perché non posso definirla anticristiana, perché ritengo che sarebbe una perdita per l’umanità se si cancellasse la memoria di Gesù di Nazareth e del suo messaggio, né acristiana, perché non credo che possiamo fare finta di non essere mai stati cristiani, né post cristiana, perché mi dà l’impressione, come tanti altri post, di una fase che si è superata, che si è chiusa per sempre, cosa che io non credo.
Che cosa intendo per "oltre cristianesimo”? Io credo che il cristianesimo, come il socialismo, il buddismo, l’ebraismo, l’islamismo, come la filosofia occidentale, sia un fiume che contiene energie preziose e detriti insopportabili. Il futuro che un po’ vedo e un po’ auspico, ma non sono sicuro dove finisca la previsione e dove cominci l’augurio, è quello di una sapienza planetaria, che non sia un grande blob amalgamato, ma il risultato di un lavoro di cernita, di autocritica, di liberazione dalle scorie ...[continua]

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