Primula Lucarelli coordina l’area "Buon lavoro, cultura del lavoro, relazioni con il sistema dell’istruzione e dell’alta formazione” per la Cna di Rimini.

Tu sei della Cna e da alcuni anni a Rimini coordini un progetto per la prevenzione del bullismo. Intanto, cosa c’entrano le piccole imprese con il bullismo? Puoi raccontare?
Il progetto si chiama "Non congelateci il sorriso” e nasce innanzitutto dalla convinzione che tante piccole imprese mettono in pratica quotidianamente una forma di responsabilità sociale, solo che non sanno che si chiama così. Per me la prima sfida è stata, infatti, di renderle consapevoli dei vantaggi di questo loro agire per la comunità, ma anche per la loro azienda.
La seconda motivazione del progetto nasce dalla constatazione che il fenomeno del bullismo è molto diffuso e che, se degenera, diventa un problema grave non solo per i singoli e per le famiglie, ma anche per il territorio, soprattutto in un’area come Rimini che fa dell’accoglienza, della cordialità, dell’inclusione la sua carta vincente anche a livello economico.
La letteratura, la ricerca sociale ci dicono che è un fenomeno interclasse e intersesso, urbano e delle periferie e poi è molto occidentale perché in Occidente si è indebolito il tema delle regole e della loro condivisione. Riguarda anche le bambine e le ragazze; nel nostro territorio abbiamo assistito a pestaggi di ragazzine di quindici anni nei confronti delle loro coetanee semplicemente perché avevano osato portar via il ragazzino a qualcun’altra. E’ una manifestazione, un comportamento che insorge -come ci insegna la psicologia dello sviluppo- nell’età compresa tra i dieci e i quindici anni, è un fenomeno di "insubordinazione” proprio dell’adolescenza che tende a rientrare man mano che i ragazzini crescono; a volte, però, degenera in devianza. E’ una faccenda che riguarda la famiglia, la scuola, ma anche la comunità locale. L’idea di base del progetto è che quest’ultima possa farsi carico di questo problema svolgendo da un lato un ruolo di osservazione, dall’altro di presidio di comportamenti.
Cosa possono fare le piccole imprese per aiutare i bambini, i preadolescenti?
Facendo propri i valori delle buone maniere. Ci siamo resi conto che ci sono una serie di esercizi commerciali sul tragitto casa-scuola dei ragazzini che sono un "punto di riferimento” dei primi consumi che i preadolescenti possono compiere in totale autonomia. Tra questi esercizi abbiamo puntato sulle gelaterie, che a Rimini sono ben 230. Il carattere di assoluta artigianalità e quindi di professionalità, di passione, di identificazione con il proprio lavoro, di storia vissuta dentro quel lavoro, ci sembravano caratteristiche vincenti. Parliamo di esercizi di circa 50 metri quadri con un grande banco e il titolare sorridente dall’altra parte che gestisce il locale in prima persona (è raro trovare grandi gelaterie con personale dipendente); sono luoghi molto frequentati da bambini e preadolescenti dal momento che si tratta di un prodotto che rientra normalmente nelle abitudini alimentari di questa fascia d’età.
Abbiamo così cominciato a ragionare con i gelatieri, sollecitati in particolare da una di loro, Claudia Pari, della gelateria Matisse, che un giorno ci disse: "Ho tanti bimbi, ho tante famiglie clienti e assisto a comportamenti nei confronti dei quali varrebbe la pena di intervenire. Perché non facciamo qualcosa?”. La scommessa è stata subito raccolta dall’Università degli Studi di Bologna, nella sede decentrata di Rimini, in particolare da Rita Gatti, che è stata mia docente quando frequentavo Pedagogia a Bologna. Sono andata a ripescarla dopo tanti anni e le ho esposto l’idea che piano piano con Claudia Pari stava venendo avanti.
La collaborazione con l’Università è stata molto importante perché ci ha aiutato a dare un nome e quindi un inquadramento teorico a quello che volevamo fare.
Il ruolo che noi abbiamo chiesto di svolgere a questi gelatieri artigiani è quello di educatori informali, "leggeri”, perché di fatto non sono né insegnanti, né genitori.
Parliamo di adulti che possono però assumere una funzione educativa, e non solo commerciale, nei confronti dei loro piccoli clienti.
In effetti, l’Unione europea ha strutturato e definito i livelli dell’educazione: "formale”, quella che avviene a scuola, "non formale”, quella che avviene nella formazione professionale, sui luoghi di lavoro e nella comunità locale. In realtà non ci siamo invent ...[continua]

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