Da qualche anno gestite uno spazio che avete chiamato Dom, la cupola del Pilastro, potete raccontare?
Bruna. Laminarie è una compagnia teatrale nata nel 1994 con lo scopo di produrre spettacoli teatrali che si situano nell’ambito del teatro di ricerca, rivolti sia agli adulti che ai bambini. Siamo interessati all’arte visiva, all’architettura, al rapporto con la città, con gli spazi visivi, con i paesaggi.Fin dall’inizio la nostra esperienza ha dovuto sempre misurarsi con il luogo: i luoghi da cercare per poter produrre gli spettacoli, i luoghi dove rappresentare gli spettacoli; insomma la questione gli spazi -che ci fossero o che si dovesse trovarli- è sempre stata un nodo centrale.Per molti anni non abbiamo avuto un posto in cui lavorare. Abbiamo realizzato progetti in Italia e all’estero, soprattutto nell’area balcanica, partendo da Mostar, toccando Sarajevo, Tuzla, Belgrado, fino in Bulgaria, a Sofia e poi in seguito anche in altre grandi città come New York e Tokyo. A un certo punto, dopo questo lungo peregrinare, il comune di Bologna ha messo a bando questo spazio.Quando l’abbiamo saputo siamo venuti a fare un sopralluogo e abbiamo quindi ideato un progetto per partecipare al bando. Il progetto si chiamava "ampio raggio” (che adesso è il titolo della nostra rivista) e siamo risultati vincitori. In accordo con il quartiere San Donato e il settore cultura del comune di Bologna, nel 2009 abbiamo quindi firmato una convenzione per la gestione di questo spazio, della durata di quattro anni, rinnovabile eventualmente per altri quattro.Il teatro è stato inaugurato il 27 novembre del 2009, quindi è un’esperienza ancora molto giovane. Il progetto che abbiamo sottoposto al quartiere esprime completamente la poetica di Laminarie, declinandola in uno spazio, in una città. Abbiamo cercato di riportare in un territorio una modalità di lavoro prima dedicata esclusivamente alla produzione di spettacoli. Per poter compiere questo passaggio, la condizione fondamentale è stata mettersi in relazione con gli spazi pubblici di questo luogo che è il Pilastro, ma anche con gli altri spazi della città. Al fondo c’è la convinzione che ci si nutre delle relazioni che si attivano con le istituzioni, i luoghi, le discipline, ma soprattutto le persone. Non volevamo diventare la compagnia di teatro di ricerca che prende lo spazio e lo fa diventare il luogo delle sue produzioni, senza alcuna relazione con il territorio.Il primo pensiero è stato, al contrario, di non essere alieni a questo quartiere, facendo invece della ricerca il perno attorno a cui tutti gli altri attori del territorio potessero riconoscersi o comunque trovare un canale per entrare in contatto con noi.In questo modo, pur mantenendo l’opera e la ricerca al centro, riusciamo a raggiungere persone molto diverse tra loro, dai bambini piccoli come quelli che partecipano adesso al progetto "Onfalos - infanzia al centro”, alle persone anziane, e in generale la gente che vive e abita in questo quartiere e nella città tutta.
Avete scelto di intervenire in un quartiere, quello del Pilastro, non facile...
Bruna. Questo è un quartiere segnato da successive e stratificate ondate migratorie, in cui oggi vivono circa diecimila persone. Per primi arrivarono i meridionali, poi i friulani, e poi, via via che le crisi attraversavano il nostro paese, ma anche l’Europa, sono arrivate altre popolazioni. C’è anche una significativa comunità rom, che prima abitava nei campi e ora vive nelle case. Il quartiere è costituito per il 90% da case di edilizia popolare.
Federica. Considera che le case del Pilastro erano quelle che davano agli ex carcerati, che sono stati tra i primi abitanti del quartiere.
Bruna. Un dato che io trovo significativo è che la maggior parte di queste case sono state riscattate dalle persone che ci abitan ...[continua]
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