Nico Naldini è stato ospite della Libreria Utopia di Milano il 25 marzo 2011, nell’ambito del ciclo di incontri "Attraverso Pasolini” organizzato da Alberto Saibene insieme a Silvia De Laude e Lucio Morawetz.

Nico Naldini non solo è stato testimone di tutta la vicenda umana di Pasolini, Nico è cugino, più giovane di qualche anno, con ricordi che credo abbia ormai soltanto lui, ma anche perché tutto il rapporto fra Nico e Pasolini è un rapporto molto libero, come molto libero è stato il suo apporto alla cultura e letteratura italiana. Naldini è autore di bellissime biografie dedicate a de Pisis, a Comisso, allo stesso Pasolini, biografie che forse partono da quella, a sua volta, bellissima biografia che si chiamava "Mio sodalizio con de Pisis” di Giovanni Comisso. Stiamo parlando di anni ormai lontani della letteratura italiana, degli anni Cinquanta-Sessanta. Vorremmo anche dire che Nico Naldini è uno scrittore in servizio permanente attivo: ha appena pubblicato Shahrazad Ascoltami per L’Ancora del Mediterraneo che raccoglie racconti di ambientazione tunisina. Naldini è quindi uno scrittore autonomo da Pasolini e se volessimo tracciare una genealogia di Naldini scrittore, non è forse tanto a Pasolini che bisogna riferirsi, quanto a Comisso, Parise, insomma alla linea veneta con quella scrittura così leggera, sospesa, morbida, che non ha molti paragoni. Non credo che bisogna fare tante domande, anche perché nella "Breve vita di Pasolini”, frutto in parte di un corso universitario a Trento, c’è l’essenza del pensiero di Naldini sul cugino. Tu intanto come lo chiamavi Pasolini: Paolo, Pier Paolo?
Noi in casa lo chiamavamo Pier Paolo, però io a differenza degli altri familiari che parlavano con lui in lingua italiana, in fiorentino, parlavo con lui in quel dialettaccio veneto di Casarsa che è agli estremi confini del mondo linguistico veneto e si mescola al friulano, e che è un prodotto ibrido, un po’ il mascalzone della linguistica. Ebbene io parlavo con lui in questa lingua. Il buffo è che quando ci trovavamo a Roma. a cena con Elsa Morante, con Moravia, ecc., appena finita la cena riprendevamo a parlare in quel dialettaccio.
È uscito da poco un romanzo ritrovato della mamma, Susanna, non so se hai avuto modo di vederlo. Che ricordo hai dei genitori di Pier Paolo?
Non ho ricordi, ho la mia esistenza.
In ogni caso la mamma, Susanna, è molto presente...
Allora, Susanna Pasolini era sorella di mia mamma. Io sono nato dentro questo mondo femminile, dominato dalla mentalità e dalla intelligenza femminile. Vorrei sottolineare la parola intelligenza perché queste donne erano veramente straordinarie. Susanna era la più vecchia delle sorelle, era anche la più bella, la più elegante, era diventata a modo suo contessa - sia chiaro che nessuno si sarebbe arrischiato a chiamarla contessa, perché lei sarebbe sprofondata non so dove - però aveva sposato Carlo Alberto Pasolini. Noi siamo figli della prima guerra mondiale, sia Pier Paolo che io, siamo nati dall’incontro di due militari che combattevano nella prima guerra mondiale, con due sorelle che anche loro stavano lì, all’altezza della prima linea del fronte. Il fatto di essere figli di questa guerra ha in qualche modo inciso in una nostra certa concezione della storia italiana. Noi facevamo delle passeggiate nel Carso e, dopo un temporale, la prima copertura di ghiaino e di sabbia veniva portata via dalla pioggia e spuntavano le ossa dei ragazzi che erano morti in guerra. Quindi la presenza della morte violenta, disperata, ci ha segnato già in queste passeggiate.
Ma era un fatto naturale la morte per voi o uno shock?
Si trattava di morti avvenute trenta, quaranta anni prima. Abbiamo preso quelle ossa e le abbiamo date a un prete cattolico che ha provveduto a un seppellimento. Però sapevamo che erano dei ragazzi e il nostro amore per i ragazzi aveva questa tonalità funebre che è rimasta tale.
Il Friuli, Casarsa degli anni della guerra, vista con gli occhi di oggi, ha il sapore di una Arcadia, di un mondo incantato, magico, che sembra quasi ricostruito da Pasolini. Quanto di realtà e quanto di mitopoiesi, per così dire, c’era in tutto questo?
Non c’era niente di arcadico, Pasolini aveva bisogno di esprimere i suoi primi slanci sentimentali che erano eterodossi rispetto alla norma e aveva bisogno di creare intorno un alone di bellezza naturale, di calma, della famosa calma baudelairaina, certo mancava il lusso della triade calme, luxe, e vol ...[continua]

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