Davide Carnevali è stato analista di organizzazione presso il Ministero della giustizia, collaborando principalmente al monitoraggio della riforma del giudice unico di primo grado ed allo sviluppo dei sistemi di scambio elettronico dei dati e documenti nel settore giustizia. Dal 2001 è ricercatore all’Istituto di Ricerca sui Sistemi Giudiziari (Irsig/Cnr) e si occupa di assetto istituzionale e riforme del sistema giudiziario, gestione delle innovazioni organizzative e tecnologiche in ambito giudiziario. Ha curato, tra l’altro, Soggetti smarriti. Perché innovazione e giustizia non si incontrano (quasi) mai, Franco Angeli 2010.

Negli ultimi vent’anni la pubblica amministrazione, sanità, enti locali, ecc. è stata interessata da profondi processi di riforma soprattutto all’insegna dell’efficienza ed economicità. Nel campo della giustizia questi processi hanno invece incontrato grosse difficoltà. Puoi raccontare?
Da oltre dieci anni il nostro istituto è impegnato a studiare l’assetto organizzativo e istituzionale del nostro sistema giudiziario, anche proprio per valutare l’efficacia di alcune misure di riforma.
Nello specifico noi studiamo l’assetto istituzionale, cioè il rapporto tra il giudiziario e gli altri poteri dello Stato, ma anche gli elementi di governance, dei ruoli processuali, eccetera. Poi c’è tutta una parte più strettamente organizzativa, che riguarda proprio il funzionamento concreto degli edifici giudiziari con tutte le loro problematiche. Ci occupiamo dell’analisi dei flussi di lavoro fino al ruolo delle tecnologie all’interno degli uffici, la formazione, ecc.
La pubblica amministrazione è ormai da decenni studiata secondo questo taglio in tutte le sue branche. Per esempio, la sanità, che negli ultimi vent’anni, ha conosciuto profonde trasformazioni nelle stesse strutture ospedaliere, dalla governance alla gestione quotidiana del lavoro, con l’introduzione di aspetti non solo tecnologici, ma anche gestionali, di contabilità analitica, di trasformazione dei ruoli e del lavoro stesso.
Anche gli enti locali in qualche modo hanno vissuto una trasformazione analoga.
Ecco, tutto questo nella giustizia non c’è stato è tutt’ora non c’è. La cultura giuridica monopolizza anche gli approcci di analisi, per cui sembra che il mondo della giustizia sia esplorabile solo con una strumentazione di tipo giuridico. Con tutti i limiti che questo comporta. Gli altri settori, infatti, all’aspetto formale e legale, hanno affiancato tutta un’altra serie di strumenti provenienti da altre discipline, per non parlare dell’aspetto economico finanziario.
Chi, come noi, vuole applicare un approccio multidisciplinare allo studio della giustizia incontra grossissime difficoltà anche semplicemente a farsi ascoltare.
Eppure l’urgenza ci sarebbe tutta. Solo qualche giorno fa è uscito un rapporto del Consiglio d’Europa in cui si ribadiscono ulteriormente le gravi difficoltà in cui versa la giustizia italiana.
Per la verità, a livello di dichiarazione di intenti, tutti affermano la necessità di approntare strumenti di tipo economico, organizzativo, eccetera; a livello di teoria dichiarata, come si dice in scienze dell’organizzazione, si mette in piedi una strumentazione di tipo formale, quindi si producono norme che dicono che si deve fare in un certo modo, che ci deve essere la contabilità analitica, che ci deve essere questo e quest’altro, piani di valutazione, ecc. Ma poi tutto rimane fermo al costrutto di tipo formale. Nella sostanza, quando si tratta di andare ad applicare i famosi principi di "efficienza, efficacia ed economicità” alla giustizia, questi improvvisamente si svuotano di contenuto.
Uno degli ostacoli principali che voi incontrate è l’assenza di una governance chiara all’interno della giustizia.
La giustizia è governata, partendo dal livello alto, dal Ministero della giustizia e dal Consiglio superiore della magistratura: due organi indipendenti tra di loro che prendono decisioni dall’impatto talora addirittura contraddittorio. Con l’anomalia che solo uno dei due soggetti ha le risorse, cioè il Ministero; il Consiglio superiore decide senza risorse a disposizione.
Tutto questo porta a una situazione schizofrenica sul piano della gestione. Cioè è difficile parlare di "organizzazione” quando già i vertici che dovrebbero decidere e avere la responsabilità non sono in condizione di farlo perché sono due organismi che non dialogano, per i quali non è previsto nessun meccanismo di accordo, ...[continua]

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