Vorremmo rifare un po’ il punto sulla crisi in Veneto.
È passato un anno e mezzo dalla nostra precedente intervista e siamo ancora in una condizione di riduzione dei posti di lavoro, con l’aggravante che il tempo è trascorso e quindi c’è un effetto cumulativo: si cumula la perdita di reddito e si cumula la perdita dei posti di lavoro. Nel 2012 la crisi si è di nuovo intensificata. C’era stato un momento tra il 2010 e il 2011 in cui sembrava si fosse toccato il pavimento e si fosse pronti per il rimbalzo, invece c’è stato un rimbalzino e poi siamo tornati a cadere. Questa è, sostanzialmente, la dinamica. Anche per il primo trimestre del 2013 il trend rimane il medesimo: i posti di lavoro si riducono, le crisi aziendali si succedono l’una all’altra. Nel Rapporto 2013 (recentemente edito da Franco Angeli con il titolo Uno stallo insidioso) sul mercato del lavoro veneto noi parliamo proprio -come recita il sottotitolo- di "uno stillicidio dei posti di lavoro”, per indicare la continuità di questo fenomeno.
Senza contare che una quota di quelli che sono formalmente ancora in essere, sono in realtà artificialmente conservati grazie alla cassa integrazione; altri, inoltre, sono stati trasformati in part-time. Tenendo conto che si è ridotto il ricorso allo straordinario, ne consegue che i redditi da lavoro sono diminuiti più che proporzionalmente rispetto ai posti di lavoro.
Ci sono segnali timidissimi per il secondo trimestre almeno di attenuazione della velocità di caduta. In realtà stiamo aspettando di toccare il fondo per poi risalire. Ancora non ci siamo arrivati: quando avremo toccato il fondo sapremo di preciso quanto male ci siamo fatti e misureremo quanto sia difficile e lunga la risalita. E magari anche quanto siamo stati fortunati perché possiamo prendere la botta senza romperci del tutto. Quando diciamo che in Veneto si sono persi 80-90.000 posti di lavoro nel corso della crisi (questo è l’ordine di grandezza) ci si può chiedere: questi posti di lavoro in meno come si rapportano alle imprese? Poiché le imprese con dipendenti sono circa 150.000 si può dire che mediamente un’impresa su due ha perso un posto di lavoro? In realtà non è così perché la segmentazione delle imprese rispetto alla dinamica dei posti di lavoro è molto articolata. Si stimano 25.000 imprese che hanno avuto processi di downsizing, di riduzione significativa, però ce ne sono circa 20.000 che invece sono cresciute. Osserviamo quindi una struttura produttiva in cui ci sono anche -e non sono poche- imprese che crescono, anche perché altre dimagriscono: mors tua vita mea. Certo, la parte del sistema produttivo che cresce non è quella maggioritaria, il saldo algebrico rimane negativo, però è importante riconoscere che in questi quattro anni ci sono state e ci sono anche realtà imprenditoriali che sono nate, cresciute, che hanno conquistato quote di mercato. Noi dobbiamo sperare che questa minoranza di imprese in crescita diventi (ritorni) maggioranza, che abbia la forza per andare sui mercati esteri, allargare le quote di mercato, essere competitiva.
A crescere sono settori o aziende?
Non sono settori, sono aziende dentro settori. Per ora non si ravvisano cluster settoriali significativi, almeno per i settori così come definiti dalle classificazioni statistiche disponibili.
Parliamo degli ammortizzatori. Nell’ultima intervista lei si interrogava sul senso di un ammortizzatore prolungato nel tempo...
Il tema rimane ancora lì sul tappeto. È un tema di rilievo. È passato un altro anno, l’uso degli ammortizzatori è stato molto intenso a livello nazionale: sono oltre quattro milioni i soggetti che hanno percepito, negli ultimi anni, una forma di sostegno al reddito attraverso gli ammortizzatori sociali (per durate variabili). Il sistema degli ammortizzatori è stato molto importante nell’attutire l’impatto della crisi occupazionale ed è chiaramente sotto stress… fiscale.
Nel 2012 in Italia si può stimare un preconsuntivo di spesa superiore a 22 miliardi. L’utilizzo degli ammortizzatori dal punto di vista del sostegno ai ...[continua]
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