Bruno Anastasia si occupa di analisi del mercato del lavoro. Ha diretto fino al 2019 l’Osservatorio sul mercato del lavoro regionale di Veneto Lavoro. Dal 1994 al 2001 è stato presidente del Coses di Venezia e dal 2001 al 2006 presidente dell’Ires Veneto. Dal 2000 al 2006 ha collaborato con il Gruppo nazionale di monitoraggio delle politiche del lavoro istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Ha insegnato Economia del lavoro all’Università di Trieste.

Gli ultimi dati sull’andamento del mercato del lavoro, in particolare sugli occupati, generano qualche speranza. Qual è la situazione?
La dinamica complessiva dell’occupazione, come emerge da tutte le fonti, ci dice che gli occupati stanno tendenzialmente aumentando. Tendenzialmente vuol dire a prescindere dalle oscillazioni di breve periodo le quali (nonostante tutti gli accorgimenti statistici dispiegabili, destagionalizzazione ecc.) possono sempre “velare” la tendenza di fondo. Quando diciamo che stanno aumentando gli occupati intendiamo dire che sta aumentando il numero di persone che lavora confrontando un dato periodo (mese, trimestre o anno) con il corrispondente periodo precedente.
La recente dinamica positiva degli occupati ha fatto molto rumore; quando sono usciti i dati di novembre si è parlato di massimo storico, ecc.; in realtà abbiamo poco più che recuperato la perdita di posti di lavoro che avevamo subìto con la grande recessione (2008-2013). Certo, siamo a un livello di occupazione complessiva, in termini di “teste” (persone), un po’ superiore a quella del 2008.
In termini di ore complessive, tuttavia, secondo i dati di contabilità nazionale, non siamo ancora al livello del 2008; rimaniamo su valori inferiori di alcuni punti percentuali. Questo risultato è largamente spiegabile con l’aumento del part-time: per questo ci troviamo a registrare, nel complesso, un incremento di lavoratori cui non corrisponde un pari incremento delle ore lavorate. Per questo si può affermare che c’è ancora, rispetto al 2008, meno lavoro nonostante il maggior numero di occupati. Stiamo procedendo -senza decisione politica alcuna- sulla strada del vecchio slogan “lavorare meno lavorare tutti” (ma si voleva anche senza perdite di reddito e questa è un’altra faccenda).
C’è pure da aggiungere che, secondo i dati di contabilità nazionale, nel recupero avviato dal 2014 la performance dell’occupazione irregolare (sia in termini di occupati-teste che di unità di lavoro) è stata migliore di quella dell’occupazione regolare, il che non è proprio una grande notizia.
Resta comunque il fatto che dal 2014 ad oggi la situazione è migliorata, pur nei limiti di cui si è detto.
Quali sono i problemi?
Nei dati si leggono i riflessi di due problemi belli grossi: c’è una questione economica perché l’occupazione sta ancora aumentando, ma la crescita del pil (prodotto interno lordo) è stentatissima; e c’è una questione demografica perché l’occupazione sta aumentando ma la popolazione in età lavorativa sta diminuendo. Ciò ci consente miglioramenti più che proporzionali nel tasso di occupazione, ma vela il grosso tema del declino demografico.
Come sappiamo, la crisi del 2008 si sviluppa in due onde, una nel 2008-2009 e la seconda tra il 2011 e il 2013. Poi nel 2014 comincia una fase di ripresa tutto sommato continua; nel 2018 c’è stato un breve break, ma poi il trend è ripreso, anche se con affanno.
Dal 2014 si data l’avvio del recupero post grande recessione. Bene, ma il 2014 è anche l’anno che segna la fine della crescita della popolazione italiana residente. Da allora la popolazione totale ha cominciato a diminuire. Nel giro di quattro anni abbiamo registrato un saldo negativo di mezzo milione di persone. Questo mezzo milione è il risultato della differenza, del saldo, tra un milione e mezzo di over cinquanta in più e due milioni di under cinquanta in meno. Il risultato è analogo se ci limitiamo a considerare la popolazione in età lavorativa tra i 20 e i 64 anni: oltre un milione in meno di under cinquanta e seicentomila over cinquanta in più, con un saldo negativo di quasi mezzo milione.
Di conseguenza, la quota di occupati sulla popolazione in età lavorativa (vale a dire il tasso di occupazione) sta aumentando più velocemente del volume di occupati in totale: migliora quindi la nostra posizione relativa rispetto all’obiettivo europeo indicato (tasso di occupazione al 70%) ma se ciò è ottenuto riducendo il denominatore non c’è molto da st ...[continua]

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