Stefano Canestrari è professore ordinario di Diritto penale nell’Università di Bologna nonché Presidente del Comitato di Bioetica. Dal 2006 è membro anche del Comitato Nazionale per la Bioetica. Ha pubblicato, tra gli altri contributi, Bioetica e diritto penale. Materiali per una discussione, IIa ed., Giappichelli, 2014. È tra i curatori del Trattato di biodiritto (diretto da S. Rodotà e P. Zatti), Giuffrè 2010-12. Il libro di cui si parla nell’intervista è Principi di biodiritto penale, Il Mulino, 2015.

Per orientarsi nei delicati temi di inizio e fine vita tu proponi alcuni punti di riferimento, nello specifico alcuni principi di biodiritto.
Sono molti anni che rifletto su questi temi, anche come membro del Comitato Nazionale per la Bioetica. Prima di esplorare i principi di biodiritto penale, è importante chiarire che, dal punto di vista dello studio del diritto penale, e quindi anche del biodiritto penale, ci sono tre livelli da prendere in considerazione.
C’è innanzitutto ciò che costituisce o che dovrebbe costituire un reato. C’è poi un secondo livello, un gradino intermedio, di solito ignorato dagli studiosi, ­scienziati e filosofi, che è quello della condotta lecita. C’è infine il terzo livello: una condotta non soltanto lecita, ma che costituisce un diritto.
È una distinzione molto importante perché il reato naturalmente interferisce con la sfera morale ed etica, ma non si sovrappone a essa: non tutto ciò che è moralmente riprovevole costituisce reato. E, dall’altra parte, una condotta lecita non necessariamente costituisce un diritto. Anche all’interno del Comitato Nazionale per la Bioetica c’era il timore che, riconoscendo come lecite alcune condotte moralmente discutibili, immediatamente le si riconoscesse come diritti, saltando appunto questo secondo gradino.
Uno degli esempi più suggestivi, che nel libro non ho fatto, riguarda una possibile riformulazione della fattispecie dell’incesto nel nostro ordinamento giuridico; una fattispecie peraltro formulata malissimo perché è sanzionata solo se crea pubblico scandalo. È un retaggio del codice penale illiberale e autoritario del 1930, che voleva proteggere la morale pubblica, non le vittime. Ecco, se un giorno si considerasse una riformulazione del reato di incesto, un rapporto incestuoso tra un fratello e una sorella maggiorenni potrebbe non costituire reato (anche la Corte costituzionale della Germania ha affrontato l’argomento). Bene, se stabilissimo che in questo caso una risposta penale non è adeguata (cosa che io penso), non si potrebbe, tuttavia, affermare che tale coppia abbia il diritto di accedere a una fecondazione assistita. Non mi voglio però dilungare su questo esempio perché richiederebbe altre precisazioni.
Nel libro ho proposto invece il caso, assai più significativo, del suicidio: il suicidio è un atto libero, lecito, ma non costituisce un diritto. Questo è il punto di vista prevalente. C’è anche chi sostiene che sia un diritto.
Il punto è che, se fosse un diritto, ne discenderebbero delle precise conseguenze. Ad esempio, dovremmo incriminare per violenza privata chi impedisce tale atto, cioè chi cerca di salvare con la forza un soggetto che si sta suicidando.
E tornando al nostro codice penale?
Quando parliamo del diritto penale, non dobbiamo dimenticare che in Italia vi è un disallineamento molto forte tra il codice penale del 1930, ancora vigente, secondo cui la vita era un bene disponibile dallo Stato (non a caso c’era la pena di morte) e la Carta costituzionale, una vera miscela di tre filoni culturali e politico-ideologici diversi: quello liberale, quello cattolico e quello di sinistra, diciamo socialista e marxista. Tutti e tre hanno dato il loro contribuito. Se infatti ci fosse stato il solo filone liberale puro, si sarebbe potuto dire che il suicidio è l’esercizio di un diritto, punto; ma c’è anche un filone cattolico e di sinistra per cui la solidarietà si contempera con la libertà.
Quindi, secondo lo sfondo assiologico della nostra Carta costituzionale, il suicidio è un atto libero. Un tempo era colpito penalmente, ad esempio, con sanzioni patrimoniali nei confronti dei parenti; oggi è un atto libero, ma non è un diritto.
Tu poni una certa enfasi anche sul carattere di laicità del nostro ordinamento giuridico.
In base al carattere di laicità del nostro ordinamento, si può intervenire con la sanzione penale soltanto qualora venga leso un bene ...[continua]

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