Ephraim Kleiman, professore Emerito di Economia presso l’Università ebraica di Gerusalemme, è stato consulente economico nella delegazione israeliana durante i negoziati economici tra Israele e l’Olp del 1993-94 a Parigi. Vive a Gerusalemme.

Lei ha studiato a lungo le relazioni fra Israele e l’economia palestinese e ha partecipato ai negoziati di Oslo. È possibile oggi fare un bilancio?
I manuali sull’integrazione economica ci spiegano che quando un’economia piccola e povera si collega a un’altra più ricca e relativamente grande, è quella piccola e povera a trarre i maggiori benefici. Durante i primi venticinque anni di occupazione, l’economia palestinese ha avuto uno sviluppo incredibile. Considerando il Pil pro capite, è cresciuta a un tasso doppio rispetto a quello israeliano. E, attenzione, ciò non si spiega solo con il numero di palestinesi impiegati in Israele, perché gli stipendi guadagnati in Israele non fanno parte del prodotto interno. Nei due decenni successivi agli accordi di Oslo, l’economia palestinese di fatto ha viaggiato su delle "montagne russe”, registrando picchi positivi e negativi.
Già prima di Oslo, Gaza era recintata a causa di attacchi non tanto organizzati, ma certo ispirati da moschee e sermoni. È capitato che uomini armati di coltelli da macellaio entrassero in quartieri israeliani e uccidessero diverse persone, fra cui alcuni arabi israeliani. In conseguenza di un attacco particolarmente cruento, ci furono forti pressioni sul governo, che intervenne recintando Gaza. Questo isolamento ha avuto effetti immediati anche sull’economia. Ma il peggio doveva ancora venire.
Mentre i negoziati di Oslo erano ancora in corso, un medico, un colono ebreo di Hebron, imbracciò il suo fucile, si recò nella grotta dei Patriarchi e massacrò i musulmani riuniti in preghiera. Seguirono attentati suicidi di palestinesi sui trasporti pubblici in Israele. Per cercare di fermarli, Israele inasprì la legge che consentiva ai palestinesi di lavorare in Israele. Il loro numero calò quasi della metà nel giro di un anno. Il 1996 fu un anno molto negativo per l’economia palestinese. In seguito però le cose migliorarono e nel 2000, il numero di palestinesi che lavoravano in Israele era ai massimi storici.
Oggi, la maggior parte dei palestinesi impiegata in Israele viene dalla Cisgiordania e non da Gaza. L’"effetto montagne russe” però è proseguito causando forti sbalzi all’economia. Dopo ogni attentato, infatti, il governo israeliano ha imposto nuove restrizioni, per questioni di sicurezza, ma anche per punire, per far pagare un prezzo ai palestinesi.
Nel 2002, dopo il linciaggio di due riservisti israeliani entrati per errore a Ramallah e dopo l’attentato suicida in un hotel di Netanya alla vigilia della Pasqua ebraica, il Primo ministro Sharon decise di rompere gli Accordi di Oslo. A quel punto, esercito e apparato di sicurezza israeliano entrarono nel territorio palestinese per sradicare le varie cellule terroristiche.
Ovviamente, questi fatti ebbero anche delle conseguenze economiche: ci furono coprifuoco, perquisizioni, blocchi stradali. Va da sé che nessun investitore, nessun uomo d’affari investe in un luogo a meno che non sia sicuro che la materia prima, la merce e gli operai arrivino in tempo utile. Queste condizioni evidentemente non venivano più soddisfatte.
Se le restrizioni di Israele, in particolare quelle relative a "movimento e accesso”, hanno costituito i maggiori ostacoli allo sviluppo economico nei territori palestinesi negli ultimi vent’anni, anche le iniziative o,  meglio, la mancanza di iniziative da parte palestinese, ha anch’essa contribuito a ostacolare lo sviluppo.
Ai miei amici palestinesi dicevo di prendere esempio dalla storia sionista. Nel sionismo c’erano due scuole di pensiero. Una era il cosiddetto sionismo politico: ci servono un esercito, una bandiera e uno stato. L’altro era il sionismo "pratico”, che invece sosteneva: serve un esercito, una bandiera, forse, ma quello di cui davvero abbiamo bisogno ora è "un altro dunam (un quarto di acro), un altro ancora e un’altra capra”. È stato questo approccio a rendere possibile la creazione di quelle istituzioni che, al momento giusto, hanno portato alla costruzione di uno stato.
L’atteggiamento della Palestina era l’esatto opposto: "Prima dobbiamo arrivare a una soluzione politica. Qualsiasi passo in avanti nella situazione economic ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!